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La donna è cuoca L’uomo è chef

Cuoco dal latino cŏquus o cŏcus, derivato di coquĕre, cuocere

  1. Persona che, per professione o per incarico ricevuto, provvede, in famiglie private o presso esercizi pubblici o in collettività, alla preparazione e cottura dei prodotti alimentari
  2. Più genericamente, chi attende alla cucina: si lamenta di dover fare sempre la cuoca e la bambinaia, mentre le sue amiche hanno un impiego
  3. Gran cuoco: titolo di dignità nel medioevo, lo stesso che gran cuciniere.

Chef dal latino *capus o *capum al posto del classico caput

  1. Capocuoco nei ristoranti, responsabile della parte operativa e di quella creativa.
  2. Per estensione cuoco raffinato e di grande abilità

 

Cuochi nella storia

Marco Gavio Apicio: I sec. a.C. – I sec. d.C. → L’arte culinaria III-IV sec. attribuito

 

 

 

 

 

 

Tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo)

Maestro Martino da Como o Martino de’ Rossi o Martino de Rubeis: Torre, 1430 ca. – Milano o Roma, fine del XV sec.  → Libro de Arte Coquinaria

PDF scaricabile: Mastro Martino De arte coquinaria

 

 

 

 

 

Bartolomeo Scappi: Dumenza, 1500 – Roma, 1577 → Opera Di M. Bartolomeo Scappi, Cuoco Secreto Di Papa Pio V, 1570

François Vatel: Parigi, 1631 – Chantilly, 1671 controllore generale dei pasti per Luigi II di Borbone-Condé, principe di Condé Chantilly

 

 

 

 

 

Marie-Antonin Carême: Parigi, 1784 – Parigi, 1833 → chef de cuisine per Talleyrand

 

 

 

 

 

 

Jean Anthelm Brillat-Savarin: Belley, 1755 – Parigi, 1826 →   La fisiologia del gusto

Fu intellettuale e gastronomo. Fu eletto membro dell’ Assemblea Costituente del 1789

Pellegrino Artusi: Forlimpopoli, 1820 – Firenze, 1911 → La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene

Auguste Escoffier: Villeneuve-Loubet, 1846 – Monte Carlo, 1935 →  L’Art Culinaire, ancora pubblicata con il nome La Revue culinaire. Lavorò al Savoy di Londra e all’ Hôtel Ritz di Parigi

Gualtiero Marchesi: Milano, 1930 – Milano, 2017 → ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana

 

Cuoche nella storia

Katharina Prato nel 1858 pubblica la prima edizione del “Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche” tradotto in italiano nel 1893 da Attilia Visconti- Aparnik, maestra di cucina del corso di economia domestica nel Civico liceo femminile di Trieste.

 

Contessa Giulia Ferraris Tamburini →  Come posso mangiar bene? Libro di cucina con oltre 1000 ricette di vivande comuni, facili ed economiche, per gli stomachi sani e per quelli delicati1900

Rivolto alle massaie che dovevano provvedere a molte incombenze, ha un tono pratico e veloce. Avrà un certo successo con 7 edizioni, di volta involta rinnovate fino al 1935.

Amalia Moretti Foggia della Rovere, in arte Petronilla → Rubrica su La domenica del Corriere dal 1925

Eugénie Brazier (1895-1977) → prima donna a ottenere 6 stelle Michelin in due ristoranti di sua proprietà

Julia Child: Pasadena, 1912 – Santa Barbara, 2004 → Mastering the Art of French Cooking

A Julia Child è ispirato il personaggio di Olaf, il cuoco svedese dei Muppets

July 19, 2012 in Berlin, Germany

Una foto di gruppo degli chef di alcuni capi di stato a Berlino. L’unica donna del gruppo è Cristeta Comerford, chef della Casa Bianca, la prima donna ad ricoprire questo incarico, dal 2005

 

Alcune conclusioni

1 differenze biologiche / discriminazioni culturali

2 cucina domestica / ristorazione

3 alto e basso, ricco e popolare, chef e cuoca

1 differenze biologiche / discriminazioni culturali

La differenza di base non è una discriminazione è una differenza, appunto. Su quella differenza (biologica) è stata costruito una discriminazione (culturale).

Gerda Lerner

2 cucina domestica / ristorazione

Io provengo da una famiglia (paterna soprattutto) di cuochi provetti, donne e uomini pari qualità ed entusiasmo. E dato che di famiglia sono e siamo insonni, di notte ho sempre visto e osservato mio padre a tutte le ore della notte, Artusi alla mano, fare il pane, la pasta, le tagliatelle eccetera di cui allego foto appena speditami ora quasi novantenne. In effetti, se ci penso, a mia mamma non piaceva tanto avere come marito un competitor, le “toglieva un ruolo”, anche perché lei era “cuoca” (cucinava tutti i giorni) e lui era “chef” (cucinava per le cene di fronte a un audience, seppur mini mini).

Alessandra (storica)

3 alto e basso, ricco e popolare, chef e cuoca

Poi c’è modo e modo di lavorare: ho degli amici, una coppia con lei in cucina e lui in sala, e un altro, ristoratori di un certo livello. I primi ogni due per tre tolgono un tavolo, hanno 16 posti adesso e hanno scelto di lavorare con meno personale – e spese – possibili continuando a divertirsi e mantenere il livello alto. L’altro ha appena ristrutturato tutta la formula, affanculo le stelle e i clienti vecchi e ricchi, ha aperto un’osteria, si diverte molto di più ed è più rilassato, gli serve meno personale e sovrastrutture, alla fine i profitti restano quelli ma campa meglio

Barbara (enologa)

Altre conclusioni

Esiste un boom di presenze maschili a livello mediatico?

No, gli chef sono sempre stati uomini.

Ilaria (grafica)

C’è stata una scoperta del potere mediatico di una professione che, come tale, ai livelli apicali è maschile anche se la base (mense, trattorie, conduzioni familiari) è femminile.

(Lorenzo, filosofo e ristoratore)

La riflessione sul potere mediatico è particolarmente interessante: fa sembrare la presenza degli uomini sembra un rovesciamento di ruoli ma in realtà non lo è. Quegli uomini non stanno solo cucinando stanno esercitando un ruolo e un potere.

 

Consigliato da Silvia (storica locale)

Le interviste di Michela

 

Rassegna stampa

Barbie per i suoi 60 anni diventa lo chef campano Rosanna Marziale _ Il Mattino

Storia della cucina al femminile, tutte le rivali di Artusi – Il Sole 24 ORE

Perché le donne cucinano e gli uomini diventano chef_ – ilSole24ORE

Perché le donne cucinano da sempre, ma i grandi chef sono uomini_ _ ArtApp

Perché gli chef famosi sono quasi tutti uomini_ – Il Post

Parola di Antonia, donna chef_ _In cucina il sesso non conta_ – Signoresidiventa.com

Parla Cannavacciuolo_ _Vi spiego perché nella mia cucina non ci sono donne_ – Libero Quotidiano

Nasce la Barbie Chef, e ha il volto della cuoca stellata italiana Rosanna Marziale – Repubblica.it

La donna in cucina_ tra i fornelli (di casa) e le stelle Michelin

La donna è cuoca, lo chef è maschio_ basta!

La “cuoca di Savonarola” _ Festival del Medioevo

In Italia il primato mondiale delle cuoche stellate

Il primato italiano delle chef donne

Cracco, Ducasse e le donne in cucina_ ma non erano loro, le regine_ – Il Fatto Quotidiano

Cosa tiene lontane le donne dalle cucine dei grandi ristoranti italiani_ _ Dissapore

Chef stellate (e invisibili) – Corriere.it

https://www.taccuinistorici.it/ita

 

Apri le cosce chiudi la bocca

Massimiliano Galli, consigliere comunale di Amelia per la Lega è stato espulso dal partito. Ha scritto contro Emma Marrone: “Faresti bene ad aprire le cosce facendoti pagare”, sottintendendo aprire le cosce invece dei porti.

Ora, al netto delle opinioni politiche, questo approccio non è accettabile da nessuna parte venga per nessun motivo. Certamente è sessismo ma non è solo quello. C’è l’idea odiosa di trattare un’avversaria da puttana per nullificare quello che dice e già questo è grave. Ma peggio ancora si indica il pene maschile come uno strumento punitivo per dirimere le controversie politiche. Un manganello-fallo con cui colpire l’avversario nel caso sia una donna. Colpire il suo corpo, la sua vagina, e per sineddoche il suo essere femmina.

L’imperativo di “aprire le cosce” è un tentativo di ridurre l’atto del sesso, che è libero e autodeterminato, a un rapporto di dominio. È escludere la femmina da questo atto come componente attiva. E mentre la si costringe a subire, le si chiude la bocca. Ho sentito raccontare lo stupro subito da persone che sono state colpite per motivi politici e mi sembra che il concetto di sessismo in questo caso sia riduttivo. L’espulsione è necessaria e apprezzabile ma non mi basta. Perché il sessismo di Galli ha preso una forma ambigua e pericolosa.

È fondamentale smascherare la matrice violenta di questo tipo di approccio. Non è solo sessismo, è un riferimento implicito allo stupro punitivo, cioè alla tortura dello stupro, cioè allo stupro di guerra. E no, non credo affatto di esagerare. Perché non dico affatto che Galli abbia stuprato qualcuno: non sono in mala fede. Dico però con tutta la mia lucidità che le implicazioni simboliche sono esattamente quelle. Ed è importate che vengano sanzionati i comportamenti di chi sparge queste affermazioni. Perciò ritengo fondamentale che sia stato espulso dal partito. Ma credo anche che sarebbe opportuno che decadesse anche dal suo ruolo di consigliere.

Il re è nudo: dobbiamo dirlo in giro

 

 

 

 

Consigliere comunale insulta Emma Marrone su Facebook. La Lega si dissocia e annuncia espulsione – Rai News

Imparerò ad anticipare le sue mosse

“C’è stato un momento in cui ho pensato: “se adesso muoio sono una donna libera”. I momenti felici ci sono stati all’inizio, se no non mi sarei innamorata. Pensavo: “io lo posso cambiare”.

I violenti noi non possiamo cambiarli. Ma tu pensi: “domani sarò brava, non parlerò, cucinerò bene, stirerò bene le camicie. Non risponderò. Imparerò ad anticipare le sue mosse”.

Mi sdoppiavo. La cosa che mi faceva più male era quando gli altri assistevano alla violenza e tacevano.

Poi nel duemila undici, dopo nove anni di silenzio e di violenze contro di me, contro i miei genitori e un tentativo di strangolamento, ho denunciato mio marito.

Io sono una sopravvissuta, un numero in una statistica. Altre meno fortunate di me non ce l’hanno fatta e non ci sono più”.

 

Grazia Biondi

Sostengo Sumaya perché

Sostengo Sumaya Abdel Qader perché:

  • si batte per l’autodeterminazione delle donne
  • pratica il dialogo con tutte le parti
  • sostiene la laicità dello stato

 

  • rifiuta i matrimoni imposti e le spose bambine
  • rifiuta l’imposizione del velo
  • rifiuta l’infibulazione

 

#SostengoSumaya

 

Beatrice era bella

Betrice Inguì si è suicidata per il disagio verso il suo corpo. Questo raccontano i giornali sulla base di quanto lei aveva scritto sul suo diario. Ieri alla stazione di Porta Susa (Torino) si è lasciata cadere all’indietro sui binari mentre stava arrivando il treno che l’ha travolta. È una di quelle cose che fanno arrabbiare all’istante perché aveva 15 anni e poteva essere tutto quello che voleva.

Ho guardato la foto della sua prima comunione: era una ragazzina sovrappeso e con la faccetta buffa come lo siamo stati in molti alla sua età. Poi siamo cresciuti e alcuni sono cambiati, altri no. Non si sa niente del perché sia arrivata a stare talmente male con sé stessa da togliersi la vita. Le canzoni che suonano in testa in queste occasioni non bastano a spiegare gli eventi. Sono invecchiate, non dicono nulla alle giovanissime generazioni. E a dirla francamente pure alcuni adulti sentono il bisogno di rinfrescare l’aria.

Eppure siamo ancora qui a parlare delle stesse cose, ancora la vergogna del corpo, senza riuscire a sottrarsi al corto circuito micidiale di colpevolizzazione e idealizzazione. Non è vero che i grassi hanno il cuore grande e non è vero che sono buoni solo perché sono grassi. Anche perché non c’è nessun bisogno di compensare con le proprie doti morali quelle che vengono giudicate indegnità fisiche. Le persone grasse non si devono far perdonare di nulla e non devono giustificare la loro esistenza di fronte al mondo.

La stessa cosa vale per quelli molto magri, ovviamente, che magari sono meno tartassati da parte dei media ma sono tartassati dalle persone che incontrano, dai compagni di scuola, dagli amici o dai parenti ficcanaso. Per certi versi, però, i media possono rendere tutte le fisicità più gradevoli, più accettabili. Da un po’ di tempo infatti esistono anche alcune modelle oversize accanto alle modelle normopeso o ipermagre. E non è un male. Il problema infatti non è il magro o il grasso di per sé, il problema è la modellizzazione univoca.

Se mi dicono che il modello fisico sottopeso è l’unico positivo io rifiuto il condizionamento MA continuo a rispettare le persone sottopeso. Se mi dicono che il modello fisico obeso è l’unico positivo io rifiuto il condizionamento MA continuo a rispettare le persone obese. Anche se la promozione dell’obesità come modello positivo non risulta ad oggi pervenuta.  Franca Sozzani, alle prime polemiche sull’argomento, non a caso si chiedeva come fosse possibile dire che la moda incoraggiasse al tempo stesso l’anoressia e l’obesità.

Non faccio alcuna fatica a vedere che tutte le persone hanno una loro potenziale bellezza ed è logico perché in termini assoluti la bellezza non può essere definita semplicemente da un canone. Se mi si vuole imporre un canone secondo cui la bellezza si colloca solo entro un range definitivo di pesi, misure e taglie, io lo rifiuto. Perché gli standard di questo tipo sono ovviamente discrezionali e mutevoli. Nel tempo i canoni estetici del corpo cambiano secondo tendenze che non sono poi così diverse dai corsi e ricorsi che caratterizzano la moda.

Se poi si vuole associare la questione del peso al tema della salute io credo che si sbagli semplicemente obiettivo. Lo stanno a dimostrare tutte quelle persone sottopeso e sovrappeso che sono perfettamente sane. Va accettato una volta per tutte che siano le analisi mediche a stabilire se una persona è in salute e non basta l’occhio di un passante o un polemista che vuole dare lezioni di vita agli altri.

Non si possono confondere gli standard clinici con la percezione sociale del corpo. E anche questo non basta: si deve scegliere senza ambiguità tra l’autostima e il biasimo. Perché è veramente schizofrenico incoraggiare le persone ad avere una considerazione positiva del proprio corpo ma al tempo stesso dire loro che non possono considerarsi belli per come sono. Lo scopo dell’autostima non è essere socialmente accettabili ma far convivere quello che siamo e quello che vorremmo (o dovremmo) essere.

Ultimamente si discute dell’eventuale esempio negativo dato dalle donne oversize che si mostrano sul palco o in passerella. Ecco, io onestamente non capisco perché vedendo Mia Tyler che indossa un vestito si dovrebbe sentire il bisogno di procacciarsi una teglia di pasta al forno. Più realisticamente la reazione sarà di voler capire come sono abbinati gli abiti, quali stanno meglio su quel corpo, che tagli lo fanno sembrare più fine, che colori lo valorizzano. Tutto qui.

Se qualcuno teme che ci si senta incoraggiati da queste immagini a saccheggiare il frigo, stia pur certo che sarebbe successo comunque: il meccanismo del binge alimentare funziona su dinamiche di conflitto interiore, non di pacificazione. Se poi vogliamo fare un discorso serio sulla salute delle persone dobbiamo prendere atto di una cosa molto semplice: non possiamo costringere nessuno a cambiare il proprio corpo solo perché secondo noi non va bene. Al massimo possiamo creare le condizioni favorevoli nella consapevolezza che la scelta è solo degli interessati. E le condizioni favorevoli partono dall’autostima cioè dall’amarsi per come si è: anche obesi se si è obesi.

Una persona comincia a volersi migliorare non nel momento in cui non si accetta ma quando è in pace con sé stessa. Se si odia perché è grassa questo stato emotivo non farà che indurre comportamenti sbilanciati creando un circolo vizioso tra abitudini sbagliate e insoddisfazione di sé. É una fallacia logica la convinzione che il sentirsi a disagio sia utile al cambiamento. Questo può valere − forse − per le cose che ci accadono ma il corpo che abbiamo non è qualcosa di esterno: siamo noi.

Dunque ben venga l’autostima, ben vengano le donne oversize nello spettacolo e nella moda. Quando vedo persone dalla fisicità importante che hanno un buon percorso professionale non penso di raggiungere il loro peso, penso che ce l’hanno fatta nonostante quello. E se loro ce l’hanno fatta ce la possono fare anche altri. E se loro sono in grado di vestirsi bene ed essere “perfino” belle, allora penso che si possa essere gradevoli anche con una fisicità importante. Così, gradualmente, si assume quell’approccio mentale positivo in cui i cambiamenti sono possibili proprio perché nessuno ce li impone. Quell’approccio che inizia nel superamento del disagio verso il proprio corpo.

 

 

Aggiornamenti:
Beatrice Inguì e Giente Honesta: l’odio sui social per la ragazza suicida a Torino – Corriere.it Rivoli, i compagni di scuola suonano Eric Clapton per l_addio a Beatrice – Corriere.it

#quellavoltache, il libro sulle molestie

Pochi mesi fa, donne di tutte le condizioni hanno raccontato sui social network le storie delle molestie subite. A qualche mese di distanza da quel racconto collettivo una della cose più interessanti da registrare sono le reazioni in senso contrario. C’è infatti qualcuno che continua a ripetere ossessivamente di finirla con questa lagna che relega le donne a un’immutabile ruolo di vittima. Sarebbe una posizione condivisibile se non fosse che manca qualsiasi relazione tra il racconto collettivo, frutto di un atto di ribellione, e il processo di vittimizzazione.

Raccontarsi pubblicamente è un atto di coraggio: lo si fa perché si è arrabbiate e perché si vuole smascherare il gioco di un rispetto formale, e non sostanziale, propinato a beneficio dello status quo. È talmente evidente la natura combattiva dell’azione che si rimprovera al movimento di essere troppo aggressivo, come è accaduto nella lettera delle attrici francesi che – giocando con la semantica dell’ovvio – rivendicavano la «libertà di essere molestate». Se da una parte si rinfaccia la lagna e dall’altra l’aggressività, è chiaro che esiste un problema nei confronti delle donne che rompono il silenzio. Cosa ci si aspetta dalle molestate: che siano più arrabbiate o più tranquille, più dure o più remissive, che parlino o che tacciano? Perché in qualunque modo si muovano pare che arrechino fastidio alla cattiva coscienza di una qualche fetta dell’opinione pubblica.

Nell’arcipelago di varia umanità delle posizioni avverse, la più surreale è comunque l’accusa di moralismo che vorrebbe ridurre un fenomeno internazionale di massa a una questione di perbenismo da boudoir. Ho parlato con molte delle donne che hanno rotto il silenzio e sarà forse un caso ma dicono tutte di amare il sesso. Ciò che non amano è di essere strusciate, palpate, baciate, approcciate contro la loro volontà. Quando la loro volontà è protagonista e partecipe, non solo vogliono essere strusciate, palpate, baciate e approcciate: vogliono a loro volta strusciare, palpare, baciare e tutto quanto segue. Aderire alla campagna degli hashtag non ha significato promuovere la castità e il cilicio, bensì scegliere una sessualità positiva e propositiva, consapevole e partecipe.

Per l’Italia, l’hashthag #quellavoltache è nato il 12 ottobre 2017 su proposta della giornalista Giulia Blasi, pochi giorni prima della campagna americana #metoo. Anche se ancora nessuno lo sapeva, in quel momento era nato un racconto corale che grazie alla passione di un gruppo di donne avrebbe preso la forma del libro. Il racconto non è mai stato proposto come atto di giustizia sommaria e tanto meno come caccia alle streghe. Della caccia alle streghe manca anzi la cosa essenziale: le donne che hanno raccontato le molestie, tramite gli hashtag, hanno messo la propria faccia e la propria storia ma non il nome del molestatore.

Per una persona che ha subito molestie il primo problema da affrontare non è quello(pur importantissimo) di essere creduta ma di capire cosa le sta succedendo. Salvo comportamenti plateali, si stenta a capacitarsi: il confronto con le altre serve a capire che si è vissuta la stessa vicenda, a dare un nome e una spiegazione alla propria storia. Incrociare le informazioni aiuta a rendersi conto degli eventi e a prendere interamente coscienza del proprio vissuto. Condividere i racconti delle molestie subite significa mettere a disposizione i materiali necessari per confrontarsi con queste storie, per conoscerne gli schemi, per individuarne i comportamenti. Significa creare uno strumento di autodifesa e di critica sociale, gli aspetti più importanti di #quellavoltache. Ora sta ai lettori raccogliere l’eredità di queste storie con tutte le domande che pongono.

Ilaria Sabbatini

Il libro si può acquistare qui: http://www.manifestolibri.it/shopnew/product.php?id_product=770

Presentazione del libro #quellavoltache Casa delle donne di Roma, 9 marzo 2018 con Giulia Blasi, Anna Lanave e Marianna Peracchi, curatrici del Libro e Miriana Trevisan (video di Plautilla Bricci)

PresaDiretta: Sesso e potere

 

PresaDiretta propone un reportage girato tra l’Italia e gli Stati Uniti sulle molestie sessuali, gli abusi e le disparità uomo donna. Un viaggio straordinario in un mondo che sta cambiando, fino a ieri le donne reagivano col silenzio, oggi non più. Tutto è cominciato a Hollywood. Uno dei più grandi scandali nel mondo del cinema, quello che ha travolto il grande produttore Harvey Weinstein, accusato da decine di attrici, modelle e impiegate di abusi, stupri e molestie sessuali.

 

Cultura Commestibile 253 (marzo 2018), p. 21

 

 

Labadessa, la normalizzazione e lo Scrondo

Stavolta parliamo di Labadessa e dei suoi apologeti. Finora l’ho evitato perché la cosa ha avuto anche troppa amplificazione ma tant’è: se tutti ne parlano, chi siamo noi per sottrarci? Scanserò la rassegna stampa perché onestamente i tormentoni mi annoiano. Direte voi: “E tu allora? Non partecipi al tormentone anche tu?”.  Sì, partecipo anch’io e infatti mi annoio da sola. Però quando ho formulato un pensiero creando un legame di significati, dopo mi dispiace buttarlo via e quindi lo appunto sul blog.

Ha raccontato tutto Maria Laura Ramello, nel suo articolo trovate la notizia e il commento.  Labadessa ha poi spiegato di essere stato bannato da FB a causa delle segnalazioni. È stato sospeso per 24 ore e su questo i suoi fan si sono molto infiammati. Un anno fa sono stata sospesa 3 giorni per pornografia a causa questa foto. Mi fu comunicato che se avessi fatto ulteriori infrazioni il mio profilo sarebbe stato definitivamente bloccato.

Jean Gaumy, Klaus Kinski e Romy Schneider durante le riprese di L’important c’est d’aimer, Andrzej Żuławski 1975

Avevo visto la foto in un museo di arte contemporanea, a una mostra. Aggirai l’ostacolo ripubblicando la stessa foto mascherata. La cosa buffa è che ho anche una serie di foto di Robert Mapplethorpe, Francesca Woodman e Joel-Peter Witkin in cui i nudi sono molto più espliciti ma per qualche alchimia social stanno sempre lì indisturbati. In ogni caso io non mi ritengo censurata. E nemmeno Labadessa ha parlato di censura anche se lo hanno fatto ampiamente i suoi solerti apologeti. Labadessa nelle sue scuse, ha fatto intendere che chi lo ha criticato crede veramente che lui “vorrebbe stuprare una ragazza!”. Beh non è per questo che è stato criticato e neanche per la sua presunta leggerezza. E qui si arriva a un punto che non è facile da spiegare.

Il gioco di Labadessa era di autorappresentarsi come un ragazzo insicuro che non sarebbe stato corrisposto dalle ragazze carine. Ok, è un gioco tipicamente nerd. La formulazione nerd poteva essere: “una così me la darebbe solo se svenuta” che però è alquanto diverso da “vorrei che fossero svenute per prenderla”. Non credo affatto che desideri veramente stuprare qualcuna ma non credo nemmeno che sia solo una battuta infelice, credo invece che sia una delle tante conseguenze della normalizzazione.

Tutta questa discussione non riguarda solo Labadessa, riguarda una cultura diffusa non facile da individuare, una cultura fatta di piccole forzature apparentemente insignificanti che un pezzettino alla volta alzano gradualmente la posta. Si chiama normalizzazione: è un processo di costruzione della normalità che passa attraverso forme non immediatamente riconoscibili. La normalizzazione non è innocua perché, se non la si disinnesca, si evolve in qualcosa di peggiore. La differenza tra la normalizzazione della battuta su un soggetto, la svalutazione di quel soggetto e la riduzione della sua autonomia è una differenza di grado non di qualità. Dunque no, quella non è solo una battuta infelice, è la conseguenza della normalizzazione e come è ovvio che sia non viene individuata. Ecco perché si chiama normalizzazione.

Sto accusando Labadessa di intenzioni violente? Certo che no. Sto dicendo però che Labadessa, e più ancora i suoi apologeti, non sembrano consapevoli di queste correlazioni che rappresentano delle differenze di grado rispetto a una cultura che loro stessi rifiutano: quella del controllo di un genere sull’altro. Il fatto è che questa cultura, piaccia o no, ci è entrata dentro e la reazione forte che c’è stata non può essere liquidata troppo semplicemente. È ovvio che non vada bene insultare e minacciare un tizio per ciò che ha scritto ma non va bene nemmeno derubricare tutto a una battuta infelice. Quando Teo Mammuccari metteva Antonella Elia sotto il suo tavolo di vetro sembrava ci fosse tanto da ridere. Poi qualcuno si incazzò e anche allora si parlò di polemiche eccessive. Ora non succederebbe più ma non è avvertita una limitazione della libertà di satira. Semplicemente è stato reso visibile il meccanismo di normalizzazione e quel meccanismo non ha fatto più ridere.

Sorvolerei sugli apologeti di Labadessa che sostengono come nella fantasia vale tutto, perché chi fantastica di uccidere qualcuno non è che poi lo uccide davvero. Ecco, io questo manco l’avevo pensato di Labadessa però mi stupisce che ci sia qualcuno che lo usa per discorsi paralleli e asimmetrici. Labadessa stesso ha detto che non desidera stuprare una ragazza: se volete difenderlo magari leggete prima cosa scrive.  Sorvolerei anche su quelli che se la prendono con i dementi della rete: quando la rete li asseconda allora si sentono appagati, quando non li asseconda allora la rete diventa il Male.

Spero di non darvi una notizia sconvolgente ma la rete non è un’entità aliena come gli Antichi di Lovecraft. Non c’è nessuna città perduta, non ci popolazioni selvagge che adorano divinità blasfeme. Voi siete la rete − esattamente come lo sono io − e poiché siete la rete, contribuite a costruire la rete con i vostri contenuti che parlano di app, di dementi e attribuiscono paternità ai desideri di stupro. Ci siete dentro. Così come siete dentro ai meccanismi di normalizzazione che ci riguardano tutti.

E ora riportiamo le cose alla loro misura passando da Chtulu allo Scrondo. Partiamo dalle referenze. Lo Scrondo era un personaggio di Disegni e Caviglia, che apparve sui primi numeri di Cattivik, nell’inserto Carta sprecata e nelle trasmissioni Matrioska e L’araba fenice. Vedi alla voce: Moana Pozzi, nudo integrale, cancellazione immediata. Questo per chiarire il contesto. Il buon Disegni tempo fa disse: «Siate impietosi: se non riuscite a capirlo, niente soggezione, non vi affannate a inventare significati che non ci sono, gli incapaci non siete voi, l’incapace è lui». Ora, volete davvero mettere sullo stesso piano una piccola malintesa libertà di battuta su Facebook con la reale censura applicata (per esempio) all’autore dello Scrondo?

Siete proprio sicuri? 

Lettera d’amore da #metoo

Con molta calma e dolcezza, sottovoce e lentamente per non turbare nessuno. Ecco immaginatemi così: vi sto parlando con tutta la delicatezza che so e che posso. In fondo è quasi una lettera d’amore. È da un po’ che ci penso e ne parlo con Marito, ne parlo con le amiche, ne parlo con tutti quelli che ne vogliono parlare.

La lettera delle tre Catherine − Deneuve, Millet, Robbe-Grillet (googolate chi sono per favore) − non è stata fraintesa neanche un po’. È stata proprio contestata in pieno, esattamente come quando si fa un frontale con la macchina che veniva dalla corsia opposta. Una andava in una direzione, l’altra nella direzione contraria e si sono prese in pieno. Quindi non venitemi a riportare leggende: non c’è nessun malentendu, abbiamo capito bene e per essere sicure l’abbiamo letta pure in francese.

La successiva presunta lettera di scuse della Deneuve non è una lettera di scuse. Ma neanche un po’, scordatevelo proprio. Tant’è vero che la prima lettera collettiva usava l’ambiguo importuner e la seconda il netto harcelement. In sostanza è stato un passo falso raddrizzato al volo, ma senza alcun malentendu. Tutte le donne di #metoo − ma dico tutte − difendono la libertà di corteggiamento. E questo è il gioco sporco che cercava di fare la lettera francese: sovrapporre la molestia (harcelement) e il corteggiamento più o meno tenace (importuner). Di conseguenza dipinge per contrasto le donne di #metoo come avverse al corteggiamento, frigide, moraliste, misandriche o addirittura sessuofobe.

Sarà un caso, ma tutte quelle con cui ho parlato amano il sesso su una scala che va da mediamente, ad assai, a parecchio, a proprio tanto, a tantissimo. Poi è fisiologico che nelll’insieme ci sia anche qualche donna asessuale in senso lato. Ma del resto, se dall’altra parte ci può stare tranquillamente una dominatrice sadomachista praticante come Robbe-Grillet, allora decadono le insinuazioni di indifferenza o fobia del sesso mosse alle donne di #metoo. Se non c’entra niente la lettera francese con le preferenze sessuali delle firmatarie, allora non c’entra niente nemmeno la campagna #metoo con l’approccio personale di queste donne alla sessualità.

Datevi pace perché è stato dichiarato da tutte le parti − e più di così restano solo i sottotitoli − che non c’è alcuna volontà moralizzatrice o castratoria. Se la volete sentire spiegata in un’altra maniera, alle donne di #metoo piace fare l’amore, piacciono gli uomini (o le donne), piace il sesso e pure la sperimentazione. Vi sorprendereste di certe confidenze che ovviamente non dirò. Però potete sempre immaginarle a piacimento.

In linea generale il discorso portato avanti da #metoo non è poi così difficile da capire e si articola in due punti:

1) L’unico risultato che vogliamo ottenere è di non essere più strusciate, palpate, baciate, approcciate contro la nostra volontà.

2) Quando c’è la nostra volontà vogliamo essere strusciate, palpate, baciate e anche di più: vogliamo strusciare, palpare, baciare e tutto quanto segue.

Postilla: Se non avete capito che aderire alla campagna metoo non significa promuovere il cilicio e praticare la castità ma scegliere una sessualità positiva e propositiva, partecipe e gaudente, sperimentale e gioiosa [ommioddìo quindi il sesso piace anche a loro] allora avete già perso il gioco della seduzione amici cari e vi resta da fare soltanto una cosa ma non sarò io a suggerire quale.

E una volta per tutte finitela di dire che #metoo è l’origine di tutto. #Metoo è un fenomeno contemporaneo a #balancetonporc e #quellavoltache. Chiedetevi perché in tanti paesi diversi sono nati movimenti così simili nello stesso momento: potrebbe essere la volta buona che capite cosa sta succedendo.

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Ringrazio Silver a cui ho fregato questa epica vignetta.

Tavolo 86

Stavolta condivido un pezzo che non ho scritto io ma che mi ha colpita molto. Durante una discussione sulla mia bacheca, Serena ha messo insieme queste parole che non volevo andassero perdute. Le ritengo importanti, oneste, necessarie e per me è un piacere dar loro risalto con il mio piccolo blog. Il motivo del contendere è lo scontrino, anzi il prescontrino emesso da un ristorante romano in cui si poteva leggere la dicitura “tavolo 86 – ciccione” (minuscolo) e la cui vicenda è descritta qui.

 

Ciccione, anzi, ciccione, con la minuscola come l’hanno scritto, è ciccione. Aggettivo che da sempre viene usato per dileggio e sempre più spesso proprio dispregiativamente. Mi colpisce la quantità di giustificazioni che viene portata a difesa del presunto diritto di scrivere questa roba sul preconto. Apprezzo molto la schiettezza di chi spiega che sono i soprannomi* dati ai clienti per gestire gli ordini, perché è così, è quello che si fa, però poi se toppi, ti becchi le conseguenze e zitto. E invece sembra di no. Era il cameriere, era il soprannome, addirittura per tanti, in un ambiente di cinesi, quasi la certezza del cognome.

Perché? Secondo me perché c’era scritto ciccione. Se ci fosse stato scritto frocio, lesbica, comunista, ebreo, muso giallo o nero, terrorista Isis, sono sicura che la reazione sarebbe stata diversa ed univoca, di totale sdegno e condanna. Ma hanno scritto ciccione. L’insulto (con tutti i suoi derivati) principe del body shaming. Principe, perché li ci potresti fare qualcosa. Potresti e dovresti rimediare, evitare, prevenire. E non lo fai. Addirittura non vuoi, gravando sul bilancio della sanità e, sia mai, sul senso estetico di tanti raffinati cultori di bellezza.

Pelato, sgorbio, culone, avrebbero avuto lo stesso riscontro forse, anche se, sono sicura, più leggero, perché li, sì, dovresti e potresti rimediare ma non c’è volontarietà. Il ciccione invece se la cerca, se la vuole e se la mantiene. Quindi se viene appellato come tale non è grave. Il censore interiore va di scatto a cercare una via d’uscita x l’offendente, perché sostanzialmente giustificato.

Seconda riflessione, sul perché sarebbe meno grave se tale termine si riferisse al cameriere. Perché il cameriere viene pagato. E no, non è meno grave per niente. Pagare non è comprare, il compenso è per il lavoro, non per la libertà di dileggio. In un mondo che tanto tiene alle forme e alla correttezza, la bussola mi pare impazzita parecchio.

Serena Badalassi

 

* Questo è il preconto, non deve andare al cliente. In pratica è quello che esce nei punti dove si preparano le domande (di solito bar e cucina) nei locali dove gli ordini si prendono elettronicamente. Ciccione è un modo per individuare il cliente nella sala. Spesso i camerieri quando i coperti sono tanti devono fissare in testa delle caratteristiche per non sbagliare comanda. Per quanto possa sembrare brutto, si vede che il suo essere ciccione lo individuava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’immagine di apertura: Lisandro Rota, Destinazione paradiso http://www.lisandrorota.it/