Il Pinocchio politico di Guillermo del Toro

Fin dalle prime immagini è una meraviglia per gli occhi, ma per chi si aspetta una lettura filologica dell’opera di Carlo Lorenzini ci saranno molte sorprese. Se non volete spoiler fermatevi qui perché parlerò apertamente del film e della storia.

Il Pinocchio di Guillermo del Toro non solo è ambientato in Italia nella seconda guerra mondiale ma i personaggi si danno del voi, coerentemente con l’uso dell’epoca, e il clima di un paese di provincia di quegli anni è ben ricostruito. Sono proprio gli scorci dei paesi preappenninici della Toscana che a chi è nato in queste terre sembra di riconoscere ad ogni piè sospinto. E la prima emozione forte che mi ha comunicato è stata quella di vedersi raccontati, con rispetto e con amore.

Mi ha colpito molto lo spazio che assume il rapporto con la chiesa e il prete di Geppetto, presentato come artigiano intento a realizzare il crocifisso di legno sopra l’altare. Mi sono chiesta perché e poi l’ho capito lungo lo svolgimento del film. Essendo ambientato in un paesino italiano durante la seconda guerra mondiale tutto è stato ricostruito con attenzione, non solo i dettagli di costume ma anche il clima socioculturale, ed è abbastanza ovvio che il ruolo della religione in quell’epoca fosse di forte riferimento per tutta la comunità.

È straniante sentire un Pinocchio che tutto contento dice vuole andare in chiesa ma in effetti, vista l’attenzione alla ricostruzione del periodo, è perfettamente coerente. Il regista però non si lascia scappare l’occasione di fare un parallelo sorprendente tra il crocifisso e Pinocchio, entrambi di legno, entrambi fatti da Geppetto ma l’uno adorato dalla gente e l’altro accusato di stregoneria dalla stessa gente perché è un burattino che si muove e parla autonomamente.

Già su questo aspetto ci sarebbe una marea di cose da dire ma preferirei se gli spunti venissero sviluppati in un eventuale confronto con chi legge queste mie considerazioni. Comunque questo è uno dei temi forti del film: il burattino è l’immagine dell’emarginato, del l’outsider e in questo senso ha a che fare con l’immagine sacra molto più di quel non può sembrare a un primo sguardo. Ciò è possibile solo nella grande sensibilità di Guillermo del Toro che lo spiega tra gli altri dettagli preziosi della realizzazione del film e della sua filosofia nello speciale sul processo di creazione.

Il racconto non parte da Geppetto che crea il burattino ma da suo figlio Carlo, morto sotto un bombardamento casuale (dice il narratore: le bombe furono sganciate per alleggerire gli arei) proprio mentre il falegname fa un sopralluogo per lavorare al crocifisso. Il trait d’union è la pigna perfetta che Carlo tiene in mano e rimane come ultimo ricordo del bambino. Il padre seppellisce il figlio morto in modo così atrocemente inutile e accanto alla tomba seppellisce anche la pigna che dopo molti anni da vita a un pino che cresce mentre Geppetto si abbrutisce nell’alcol, incapace di arrendersi alla morte di Carlo.

Una notte, più ubriaco del solito, Geppetto decide di abbattere il pino nato dalla pigna di Carlo e di farci un burattino che gli ricordi il suo figliolo. Proprio quella notte il grillo Sebastian si installa in un buco del legno del pino e viene portato nel laboratorio del falegname insieme al tronco.

Geppetto scolpisce il burattino in stato di ubriachezza ed è il motivo per cui Pinocchio è brutto. Intendiamoci, il character design, è pieno di dettagli poetici e romantici, ma Pinocchio è l’opposto del pupazzo carino di qualsiasi reinterpretazione precedente. Ha la faccia asimmetrica, una fessura sulla fronte cucita con due punti, la faccia immobile e al posto del cuore ha un buco che è esattamente il vano del legno abitato dal grillo Sebastian. Ed è proprio Sebastian, il cuore di Pinocchio, a rappresentare la voce narrante del racconto.

Mentre Geppetto dorme ubriaco senza aver completato il burattino, si palesa una creatura magica rappresentata come un incrocio tra una chimera e un cherubino alato dai molti occhi. La creatura è la vita e insieme a sua sorella, la morte, prende il posto della fata Turchina dando un senso completamente diverso al racconto che come dicevo è una rilettura e non una semplice messa in scena di Pinocchio.

La vita chiama le creature spirituali che abitano il bosco e da così vita al burattino. Da questa ampia e sostanziosa premessa si sviluppa tutto il racconto che prende una piega tutta particolare giocata non genericamente sul percorso di formazione del burattino ma sul suo rapporto con il circo dei burattini, dove si esibisce sotto il controllo del conte Volpe, e sul suo rapporto col fascismo, incarnato dalla figura del Podestà, che non solo rappresenta la massima autorità del paesino ma è anche il padre di Lucignolo, più fedele all’ideale che non all’amore per il figlio.

La figura del gatto non c’è, viene in qualche modo riassorbita dalla scimmia di proprietà del conte Volpe, che si chiama Spazzatura (in italiano anche nella versione inglese). Sostanzialmente il conte Volpe è da solo a vessare Pinocchio e maltrattare la sua scimmia per quel piccolo potere che pensa di detenere.

Dapprima Pinocchio viene assoldato dal conte Volpe per esibirsi come burattino straordinario. Grazie alla scimmia, invidiosa che il burattino sia il preferito del conte Volpe, Pinocchio viene a sapere che nessuno dei soldi degli incassi promessigli dall’impresario è andato a Geppetto come pattuito. Allora, d’accordo con Spazzatura, Pinocchio allestisce uno spettacolo irriverente ai danni di Mussolini, invitato speciale del conte Volpe che desidera ingraziarsi il potere per fare ancora più soldi.

Mussolini ordina di sparare al burattino ma il burattino non può morire e si ritrova in un regno dei morti dove dei conigli scheletrici blu accatastano la sua bara in mezzo a tante altre. Pinocchio esce dalla bara e si ritrova al cospetto della morte, un’altra chimera blu, che gli spiega che non può morire ma solo rimanere nel regno dei morti per un po’ prima di ritornare in vita. E infatti Pinocchio resuscita. Buffamente e ironicamente Guillermo del Toro fa dire alle stesse beghine che avevano accusato Pinocchio di stregoneria, che la sua resurrezione è un miracolo del cielo. E a noi viene da sorridere come se avesse fatto una sberleffo alle due bigotte. Non si può non cogliere in questo aspetto lo sviluppo del primissimo e tenero paragone tra il burattino stortignaccolo e il Cristo di legno realizzato da Geppetto.

Inizia qui la seconda parte della formazione di Pinocchio con il Podestà che lo prende per farne un perfetto soldato, insieme al figlio Lucignolo, trattato sempre con freddezza e distacco. Pinocchio e Lucignolo, come due reietti, fanno amicizia in vamerata e diventano complici. Quando il Podestà li costringe a lottare in una guerra simulata, con le bombe di coriandoli e i proiettili di vernice colorata, i due riescono a trovare il modo di vincere insieme e di fare pari.

La notizia è accolta pessimamente dal Podestà che vorrebbe costringere Lucignolo a uccidere Pinocchio per prevalere. Ma Lucignolo si rifiuta e in questo si manifesta il grande amore di Guillermo del Toro, un gigante sia fisico che morale, verso gli emarginati. Lucignolo disobbedendo è buono. E nello stesso modo Pinocchio, definito dal Podestà un burattino ribelle e dissidente, fa della sua personalità irriverente una chiave per la libertà.

Nel frattempo Geppetto è finito nel ventre del pescecane (un pescecane meravigliosamente freak) andando alla ricerca di Pinocchio per mare. Una bomba distrugge il campo di addestramento per i bambini soldato del Podestà e Pinocchio si ritrova ad affrontare la vendetta del conte Volpe, con l’aiuto della scimmia Spazzatura che finalmente si emancipa e passa dalla parte del burattino, provocando la fine del conte Volpe.

Pinocchio e la scimmia cadono in mare e lì vengono inghiottiti dal pescecane. Trovano Geppetto e il grillo e riescono a liberarsi sfruttando la capacità del naso di Pinocchio di crescere con le bugie. Anche qui Guillermo del Toro introduce una variante interessante. Il naso non cresce solamente, diventa un ramo di pino con tanto di fronde e nuove pigne.

Pinocchio mente, incoraggiato da tutti, per farsi crescere il naso e con quello raggiungere lo sfiatatoio dello squalo. I quattro riescono a liberarsi in modo rocambolesco ma alla fine Geppetto cade in acqua svenuto, rischiando di annegare. Pinocchio muore un’altra volta e chiede alla morte di salvare Geppetto. La sfinge gli risponde che è possibile solo a patto che lui diventi umano cioè mortale. E il modo per ottenerlo è rompere le regole, visualizzato nella scena con la rottura delle clessidre che regolano il tempo di Pinocchio. Pinocchio rompe le regole e diventa umano ma, in un colpo di scena molto apprezzabile, rimane comunque un burattino benché mortale.

Pinocchio muore nel tentativo di salvare Geppetto che approda sano e salvo sulla spiaggia col grillo e la scimmia. Accortosi della morte di Pinocchio capisce che non avrebbe mai potuto essere come il figlio Carlo e gli dice che lo ama così com’è. Si palesa ancora una volta la vita che spiega come Pinocchio sia morto per sempre. Solo il grillo riesce a risolvere la situazione riscuotendo la promesse che gli aveva fatto la vita di avverare un suo desiderio. Il grillo desidera che Pinocchio viva e così accade.

In un finale del tutto inatteso e di una bellezza sorprendente assistiamo poi alla morte di Geppetto, a quella del grillo, sepolto in una scatola di fiammiferi nel cuore di Pinocchio. E infine muore anche la scimmia Spazzatura, ultima compagna con cui Pinocchio andava a portare i fiori sulle tombe degli altri due. Quando muore anche Spazzatura, Pinocchio è libero di andare per il modo nella certezza che prima o poi morirà anche lui.

La chiusura avviene sull’immagine una pigna di pino, in una perfetta circolarità narrativa, mentre la voce del grillo spiega che le cose accadono e poi si muore tutti, prima o poi. Che detto così sembra una botta di pessimismo ma in realtà, nel contesto del racconto, con la pigna in primo piano, è un chiaro inno alla vita e alle storie straordinarie che tutte le vite racchiudono.

Ho già notato che la ricostruzione degli ambienti sociali e dei contesti ambientali è particolarmente attenta. Giullermo del Toro ha usato la consulenza di Ruth Ben Ghiat storica del fascismo, dei totalitarismi e del colonialismo italiano. Colgo l’occasione per ringraziare Igiaba Scego che mi ha segnalato questa collaborazione. In effetti si vede proprio la mano di qualcuno che conosce sia l’epoca che gli ambienti. Ed è un gran bene.

C’è un dettaglio di cui mi sono innamorata. Nel paesino di Geppetto si accede attraverso un arco medievale, inerpicandosi su una strada in salita che fa subito una curva. Su quella curva c’è un palazzo ad angolo, sulla cui piccola facciata c’è un’immagine di Mussolini che viene coperta dal cartellone del circo sgangherato. Questo scorcio mi ha dato la sensazione di vedere i paesini che conosco benissimo e mi ha attivato il ricordo di due staffette che ho avuto la fortuna di intervista insieme a mio marito: Didala Ghilarducci e Nara Marchetti. Nara ci ha raccontato dei ritratti di Garibaldi che tenevano in casa di nascosto quando abitavano a Longoio (Bagni di Lucca) e che non erano ben visti dai fascisti. Mi è venuto in mente anche mio nonno, che non ho mai conosciuto ma di cui mi hanno raccontato la storia. Prima di emigrare in America e poi trasferirsi in città, era nato e cresciuto a Villa Basilica, un paese a un tiro di schioppo da Collodi. Quello scorcio di paesello con la faccia del duce e il motto fascista ha interagito con tutti questi racconti nella mia memoria, dandogli una forma nuova, rivitalizzandoli in un modo imprevisto. Questo scorcio potrebbe essere uno dei tanti paeselli del pre Appennino, come quello dove visse Carlo Lorenzini oppure mio nonno Ugo.

E non credete a chi dice solo che questo è un Pinocchio antifascista perché davvero è molto molto di più. Questo Pinocchio è un emarginato, un diverso, un outsider non solo rispetto al fascismo ma anche rispetto a qualsiasi morale restrittiva e costrittiva, sia essa quella delle beghine, sia essa quella del Podestà, sia essa quella del conte Volpe accecato dall’avidità.

Ma l’ultima disobbedienza salvifica che compie questo Pinocchio è quella rispetto alla perfezione, al desiderio di Geppetto che Pinocchio sia come il bravissimo Carlo, il figlio morto bambino. Ebbene Pinocchio non è Carlo, Pinocchio non è perfetto, Pinocchio non è obbediente, Pinocchio non è compiacente e nelle mani innamorate di Guillermo del Toro tutti quelli che erano difetti da emendare diventano i pregi e le doti grazie ai quali il burattino salva sé stesso e tutto il suo mondo.

Tralascio il parterre de roi che si è cimentato nel doppiaggio originale. Andatelo a vedere per curiosità. Un solo consiglio: guardate anche il video sulla realizzazione tecnica del film, completamente in stop motion. Questo film non è una meraviglia solo per il risultato visivo ma anche per il modo in cui è stato lavorato e per le scelte fatte dal regista proprio su questo piano.

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