Indignatia

Ragazzi frenate un attimo. Ho visto anch’io il disegno del bimbo che parla male italiano.

Per una serie di ragioni casuali ci ho messo due giorni prima di capire tutta la vicenda. Ed è stata una fortuna perché l’emotività iniziale (leggi: stupore, rabbia, fastidio) è sfumata completamente. Questo mi ha fatto capire diverse cose di me stessa, dei miei automatismi, ma soprattutto del meccanismo virale dei social e dei media.

Mi ha fatto pensare che è bene prendersi del tempo prima di aderire all’ennesima ondata di indignatia capace di travolgere qualunque cosa senza alcun distinguo. E che non c’è bisogno di far la corsa a condividere una cosa quando ci sono così pochi elementi. Poi magari ci si indigna lo stesso, ma non perché il post è diventato virale o perché lo scrive il tal giornale a titoli cubitali.

«Mi piace l’illustrazione?». No. Però devo ammettere che vedendo solo il pezzo estrapolato non avevo capito niente. Ma proprio niente. Quindi devo riformulare la domanda: «Mi piace l’illustrazione “da sola“»? Perché vedendo il contesto del libro anche il senso della singola illustrazione cambia.

La cosa che mi ha fatto capire ciò che stava succedendo è il post di una madre che ha letto il libro, in adozione alla classe di sua figlia, e ha raccontato cosa c’è intorno a quella illustrazione.

Mi sono fermata, ho cercato di capire, ho letto cose diverse. L’illustrazione può non piacermi lo stesso ma “non mi piace” in un modo diverso, che non è il medesimo di prima, quando non avevo visto ancora il contesto. C’è intorno un racconto, un libro, un lavoro di narrazione complessivo che è sempre attento all’inclusione. Basta poterlo leggere, che è esattamente ciò che viene impedito dall’indignatia nel corso di una viralizzazione. Ecco qual è il rischio dell’indignatia. Che non si capisca il senso complessivo di una cosa. Che se ne percepisca solo una parte. Che però si pensi di poter giudicare il tutto da quella singola parte. Perché la viralizzazione da indignatia è per sua stessa natura un processo di semplificazione, che lavora per appiattimento non per comprensione e analisi. È proprio su questo che si basa altrimenti non sarebbe così facilmente digeribile.

Anche la mamma che ha preso il libro di sua figlia e ha letto il contesto, ha usato i social. Solo che gioca a suo sfavore la complessità del discorso che sta facendo. Forse è proprio il modo in cui funzionano i social che privilegia messaggi brevi e semplificati. Oppure la viralizzazione ha a che fare anche coi nostri bias: trovi una cosa che conferma la tua idea e aderisci senza farti domande. Molto probabilmente lo avrei fatto anch’io se non ci avessi messo due giorni a capire.

Il punto però è: vale la pena il danno che farà alla casa editrice – a questa casa editrice – il fatto di approdare sulle testate nazionale con la nomea di razzista? Visto com’è il libro nel suo complesso, visto il modo in cui tratta gli argomenti, magari chi si è indignato poteva scrivere alla casa editrice o agli autori. Sarebbe stato un confronto interessante. Magari avrebbe contribuito ad aprire un dibattito sull’editoria scolastica. Così invece è stato solo uno sbattere il mostro sui social e dopo i social è diventato l’ennesimo “sbatti il mostro in prima pagina”.


Un pensiero su “Indignatia

  1. Pingback: Ancora indignatia | ruminatiolaica

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.