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Un discorso sulla violenza

La prima cosa che mi ha detto il mio compagno stamani è stata: lo hanno arrestato. Siamo rimasti in silenzio.

Sinceramente non so bene cosa si può dire in merito. Mi piacerebbe pensare che è possibile evitare queste morti ma la realtà è più complicata di quello che io vorrei e anche del modo in cui vorrei che andasse il mondo.

Tutti stanno trovando una colpa nelle parole del padre dell’omicida. Io penso siano una chiave per capire. Anche per capire perché è così difficile proteggersi.

Un bravo ragazzo lo poteva essere davvero. Un ragazzo incensurato, che non da grossi problemi. Un bravo ragazzo che è diventato un assassino, che ha ucciso una vita giovanissima, una persona che conosceva bene.

Vorrei dirmi che si può prevedere ma io non sono sicura. Non sono sicura di nulla. Sarebbe facile, sarebbe rassicurante se gli assassini fossero riconoscibili. Si salverebbero in tante.

Invece è questa la fregatura, che non te lo aspetti. Perché si pensa sempre che non ti farebbe mai del male. Ed è terribile pensare il contrario perché significa ammettere che non siamo esenti dal male, nessuno di noi.

Io ci credo che l’assassino prima di uccidere “non è mai stato uno violento“. Ed è questo il dramma. “Se ti fa del male dillo almeno a me” le diceva la sorella “ma lei non mi ha mai detto nulla in questo senso e quindi non ho mai pensato che quel ragazzo potesse in qualche modo ferirla”. È vero, è così, dicono la verità.

A me piacerebbe poter pensare che ci sono formule semplici per prevenire queste morti ma la realtà è che non lo so. Barbara mi aveva dato dei buoni consigli sul dottorato prima di finire uccisa dall’ex. E chi se lo aspettava? Lei così brillante, così impegnata, così realizzata. Io non ho risposte.

Educare i figli, ma davvero è questo? Qualcuno insegna forse che è accettabile picchiare una donna o ucciderla? Francamente credo che le famiglie lo facciano già di educare, nella maggioranza dei casi.

Eppure quest’anno sono state uccise 105 donne per lo più per motivi di genere. Lo dice l’Osservatorio dei diritti. Gelosia, possesso, incapacità di accettare la separazione e le scelte altrui, vendette, dimostrazioni di potere, ritorsioni.

Forse bisognerebbe parlare del fatto che la violenza ci abita tutti. Bisognerebbe non sentirci esenti delegando tutto ciò che di noi ci fa paura alla figura del mostro. Bisognerebbe pensare che l’omicida è uno di noi, non un estraneo. Non si nasce senza pulsioni violente: a controllare la violenza si impara.

Forse bisognerebbe cambiare paradigma, cominciare a valutare il fatto che la violenza non è estranea a nessuno e così, una volta ammessa, possiamo finalmente fare un discorso serio su come imparare a controllarla.

Forse.

https://www.centrouominimaltrattanti.org

Contro la mostrificazione

Anni fa, studiando per un lavoro, ho guardato un documentario sulla storia e il pensiero di Etty Hillesum. A un certo punto dei ragazzi intervistano Michale Wery, dell’Istituto di Neuroscienze di Bruxelles, sul fatto che la Hillesum (proprio lei) parla della barbarie che si può trovare dentro ciascuno di noi.

Wery dice: non spiego la barbarie; osservo me stesso. Ci sono volte in cui mi sono detto che c’è qualcosa di barbaro in me. Sono rimasto colpito dal potenziale di violenza che ho dentro. Poco tempo fa tenevo in braccio il gattino di mia figlia. Mi sono accorto che l’avrei potuto strangolare con una facilità assoluta e questa consapevolezza mi ha portato a interrogarmi. Quando ero giovane mio cugino mi ha chiesto di fare il bagnetto a suo figlio. Era neonato e in quell’istante mi sono reso conto che quel piccolo essere vivente era alla mia mercé. Quel giorno ho preso coscienza del potere che avevo su questo essere vivente. Quale sarà il limite?

Vent’anni dopo – continua Wery – stavo lavorando in giardino e ho sentito qualcuno gridare e chiamarmi per nome. Il mio vicino era caduto nel pozzo e stava annegando. Sapevo benissimo di doverlo aiutare, nonostante ciò ho avuto un’immagine terribile: “puoi fare ciò che vuoi di quest’uomo”. Hai il potere di trovare un modo per tirarlo fuori e salvarlo, hai il potere di ucciderlo. In quei momenti della mia vita ho avuto potere sull’altro. E mi dico: presta attenzione alla barbarie che dorme in te. Il fatto di dare un nome a queste cose, il fatto di parlarne, mi fa capire che non ne ho veramente paura. E questo ci rende più liberi rispetto alle tendenze che vivono in noi.

Il discorso di Wery mi incuriosì e ci ho pensato letteralmente per anni. La stessa cosa che lui racconta la sperimentiamo con i cuccioli, con i bambini, con le persone che ci chiedono aiuto. Una sensazione di potere assoluto che si presenta di fronte a chi consideriamo inferiore o più debole. Questo è l’elemento in grado di scatenare la barbarie in ciascuno di noi. Ogni giorno scegliamo diversamente ma ogni giorno questa possibilità può presentarsi. La natura di ogni essere umano può, all’occorrenza, essere violenta.

Accettare questo significa rinunciare all’idea del mostro che, in realtà, è solo il nome che diamo al riflesso della nostra paura. Noi abbiamo dentro (anche) pulsioni violente ed esserne consapevoli vuol dire accettare la necessità di farci i conti e di gestirle. Nessuna rabbia, nessuno sfogo sarebbe sufficiente a compensare lo stupore e il gelo che coglie leggendo la storia dell’ennesima donna uccisa. Non fatelo, non cedete alla tentazione di pensare che l’assassino sia qualcosa di diverso da un uomo. Non lasciatevi andare all’emotività facile dei discorsi forcaioli. Rimanete lucidi. Riflettete. Ragionate. Perché dove c’è caos c’è sempre qualcuno che riesce a trarne vantaggio.

(Continua….)

Nell’immagine installazione di Philip Worthingto, Shadow Monsters

MoMA, dec 7, 2012–jan 2, 2013

Gli spostapoveri e i lanzichenecchi

La mia prima reazione leggendo l’articolo di Alain Elkan è stata di chiedere ai miei contatti social se fosse un pezzo di satira di costume. E le risposte sono state spassose. Ho perfino pensato che se fossi un editore vorrei raccogliere gli esercizi di stile su quell’articolo e chiamare il libro “L’uomo del treno” perché tra tutti i tormentoni estivi dagli anni ’80 in poi è il più divertente.

Ma da quando stamani ho cominciato a leggere le difese d’ufficio sul diritto a viaggiare in pace non mi diverto più.

Così oggi, dalle alzate di scudi a protezione del signor Elkan, scopriamo che il problema di Trenitalia sono quattro adolescenti chiassosi che parlano di ragazze, scrollano lo smartphone e ammassano i vuoti nei cestini.

Non l’aria condizionata che non va o va troppo, non il riscaldamento che non va o va troppo, non le corse che non ci sono per collegare tratte ovvie (uno per tutti il raddoppio Lucca Firenze atteso come Godot), non i tempi ridicolmente lunghi per fare tratte brevi, non che da mesi a Bologna il treno è sostituito dal bus e alla fermata – 40° col sole a picco – non c’è neanche uno straccio di telo che manca poco gli anziani ci rimangono secchi, non che a Prato nei bagni pubblici a pagamento (notare bene) accettano solo monete e non c’è uno sportello utile nel giro di un chilometro, perché il bar interno mica ce l’ha il bagno e se ci sono bambini o anziani tanto peggio per loro.

No, il problema non sono i carri bestiame strapieni di gente che giustamente vengono chiamati gli “spostapoveri” perché di grazia se ti fanno il favore di fornirti un micragnoso mezzo pubblico per spostarti senza usare la macchina, mezzi a volte non revisionati a cui si spezzano i mozzi delle ruote e si schiantano in una stazione come a Viareggio, o che si scontrano l’uno con l’altro sul binario unico come ad Andria.

Il problema non è che amministratori e governanti continuano a investire in millemila assi viari per il trasporto su gomma e ti dicono che la tramvia non si fa perché non c’è l’economia di scala.

Il problema non è che ti dicono che i cittadini hanno il culo pesante ed è per quello che non funzionano i mezzi pubblici, così ignorando per puro pregiudizio le file alle biglietterie. Che le corse siano insufficienti o non ci siano proprio sembra del tutto irrilevante.

No. Niente di tutto questo.

Il problema sono quattro adolescenti brufolosi che hanno imbroccato le offerte di Trenitalia per la prima classe di Italo e parlano delle solite sbruffonate estive, di ragazze e nottate in giro, disturbando un lettore di Proust.

Ultimo ma non ultimo, il problema dei rifiuti sui treni sono questi barbari, signora mia, non che nei cestini c’entra appena una cicca di sigaretta e non vengono mai cambiati. E poi chi di noi comuni mortali li ha mai visti i tavolinetti per scrivere a mano? Ti va già di culo se riesci ad appoggiare il portatile sulle ginocchia facendo spessore con lo zaino. Sui treni che prendo io funziona sempre così.

Del resto serve sempre un capro espiatorio pronto all’uso per ogni evenienza. Non è forse la stessa cosa che sta succedendo per i negazionisti del cambiamento climatico?

Mica sono d’accordo con loro: le anomalie climatiche le vedo e soprattutto le soffro. Ma se siamo convinti che un cambiamento climatico è in corso, dobbiamo anche ammettere che le cause antropiche non sono mica i negazionisti climatici ma questo modello produttivo predatorio delle risorse, questo sistema economico alienante e questi governi incapaci di tenere testa alla grandi realtà industriali che sono la causa prima di ogni mutazione climatica.

Prendersela con i negazionisti è come prendersela con un altro passeggero del tram – o del treno – che come te subisce gli sballottamenti del pessimo guidatore ma indossa la maglia gialla invece che color verde ecologico. E nessuno mette in discussione il guidatore incapace bensì il lanzichenecco di passaggio o quello che si è messo la maglia gialla invece che color verde ecologico.

Del resto è sempre utile individuare un nemico fatto su misura: primo, non è più colpa tua ma del nemico, purché sia adeguato all’occorrenza; secondo, puoi evitare di prendere le decisioni necessarie che risolverebbero qualcosa ma sono inevitabilmente impopolari; terzo, puoi usare il meccanismo identitario a tuo vantaggio rinforzando il legame dei buoni che costituiscono la tua bolla di riferimento; quarto, tutto questo non ti costerà nessun investimento concreto.

L’alibi perfetto. Parliamo del negazionista o del lanzichenecco che scandalizza tutti ma guardiamoci bene dal parlare dei Governi o delle Amministrazioni che investono negli assi viari per il trasporto su gomma ma affermano che la tramvia o il treno o il trasporto pubblico non sono sostenibili in un’economia di scala. 

Perché la colpa è sempre dei cittadini che hanno il culo peso, mica dei Governi o delle Amministrazioni che non fanno investimenti o leggi adeguate prendendo iniziative che comportano una spesa economica o una qualche impopolarità (poi dice il populismo…).

Pedonalizzando, togliendo posteggi, introducendo pedaggi, liberalizzando la circolazione delle bici e dei monopattini sulle strade ‘normali’ (molto più comodo che fare le ciclabili) – senza preoccuparsi di migliorare il trasporto pubblico. Anzi: riducendo le corse sulla scorta di valutazioni economiche. E quel punto chissà come mai le priorità green non contano più. Chissà come fanno ad andare a lavorare quelli che non hanno le macchine “verdi” e non hanno soldi per comprarle (grazie Fede, ti ho proprio copincollata).

E allora vuoi mettere quant’è più semplice e rassicurante puntare il dito e tutta l’attenzione sul negazionista?

Quindi grazie anche al signor Elkann che con la sua stilografica ha dato modo anche a noi che non viaggiamo in prima – ma facciamo gli workshop in inglese e leggiamo Le monde diplomatique – di capire che non è la nostra cultura poliglotta che fa la vera differenza ma solo i soldi che possiamo spendere e gli agganci che possiamo far valere nei posti che contano.

Il disegno è di Kelsey Heinrichs 

https://www.repubblica.it/cultura/2023/07/23/news/racconto_alain_elkann_sul_treno_per_foggia_con_i_giovani_lanzichenecchi-408733095/?fbclid=IwAR0ZJ1y-YgJrVEQTdRCx0FM517aHbef9i5zO6nJ-f-CeJBkdYJkvhiIUmjE

https://mowmag.com/culture/su-giovani-lanzichenecchi-e-treni-ha-ragione-elkann-c-e-poco-da-ridere-e-da-indignarsi-serino-racconto-perfetto?fbclid=IwAR1FQzVGG9F8R83sr7l8UY9qD5rwZbiCZzG1ddS0FTWMHZ-w5XluBXujPyA

Libertà di (non) poter scegliere

La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti rende i singoli stati liberi di applicare le proprie leggi in materia di aborto. Così Texas e Missouri lo hanno già reso illegale.

Le scelte etiche sono sempre terreno di mediazione e di potenziale conflitto ma questo divieto non ridurrà affatto l’aborto, lo renderà solo più classista.

Perché, appunto, il sistema valoriale non è necessariamente condiviso e non serve a niente vietare una pratica che per una parte della popolazione non rappresenta un problema etico. Si può solo regolamentarla.

Succederà che le donne ricche andranno ad abortire negli altri stati e le donne povere ricorreranno all’aborto clandestino sfuggendo definitivamente a qualsiasi rete sociale.

Paradossalmente le cose peggioreranno non solo per le donne ma anche per il famoso diritto alla vita che verrà compresso in una gestione clandestina e classista.

Può sembrare controintuitivo ma il fatto è che tutto quanto passa dalle maglie dello Stato ha maggiori margini di intervento, compreso il diritto alla vita.

La differenza non è solo nei valori, che ovviamente in questo caso non sono condivisi, ma proprio nell’approccio ai fenomeni che può essere pragmatico o dogmatico.

Hanno scelto quello dogmatico e non si sono preoccupati del danno che avrebbero fatto agli stessi valori che sostengono.

Come ha sottolineato un’amica, nel dibattito è stata criticata l’idea che la corte dovrebbe considerare la volontà pubblica. Citando il giudice supremo Rehnquist è stato affermato: “The Judicial Branch derives its legitimacy, not from following public opinion, but from deciding by its best lights”.

Credo che in questo modo il rischio che si corre è quello di corteggiare un modello di Stato etico che invece di considerare i cittadini portatori di diritti, decide qual è il comportamento eticamente edificante e pretende di educarli.

Quando lo Stato si propone di formare e orientare i cittadini nega di fatto l’autonomia ai singoli secondo una concezione paternalistica.

Ritengo invece che lo scopo dello Stato sia mediare la convivenza di persone con principi e valori diversi, evitando l’offesa ai diritti dell’uno da parte dell’altro non decidere cosa è meglio per i cittadini al posto loro come fossero bambini.

Anche perché non è solo questione di diritto (si lo è, certo, ma è anche altro). L’aborto è considerato sempre anti-etico nei un sistemi valoriali che ritengono individuo qualsiasi stadio di sviluppo del feto. Sistemi valoriali e di pensiero legittimi ma che non rappresentano una convinzione universale, nemmeno nelle religioni.

Credo si possa dire senza timore di smentite che la maggioranza dei cittadini concorda sul fatto che l’aborto tardivo, oltre un certo termine, è eticamente inaccettabile (tranne eccezioni precise): il problema è stabilire il confine tra un prima e un dopo.

Se non erro, il limite di tempo per l’aborto legale, coincide nelle varie legislazioni con il tempo di formazione del sistema nervoso. Al di là delle opinioni personali ritengo che sia l’unico principio che può essere considerato condiviso.

Capisco anche che per alcuni non sia così e dal mio punto di vista è importante regolamentare i termini dell’aborto legale proprio perché si tratta di un limite labile. Ma il ruolo dello Stato non è decidere cosa è meglio per me (e per inciso è lo stesso motivo per cui ero dubbiosa sull’intervento dello Stato nel caso di Charlie Gard).

Esiste poi un’ulteriore aspetto su cui mi ha fatto riflettere un’altra persona. Il tema dell’aborto legale è di fondamentale importanza e proprio per questo dovremmo evitare di scollegare la questione dei diritti dalla questione politico economica.

Per i ricchi cambierà poco mentre per i poveri cambierà tutto. Mi sembra invece che si stenti a parlare apertamente di povertà. Questa sentenza colpirà i poveri, i ricchi troveranno comunque una via di fuga. E se non colleghiamo il tema dei diritti al tema della povertà, i diritti non significano più niente.

Se oltre ai diritti in sé non viene difeso l’accesso universale ad essi, si sta difendendo un potenziale privilegio. Laddove si smette di vedere il privilegio è solo perché se ne sta assumendo il punto di vista.

https://www.ilpost.it/2022/06/24/corte-suprema-sentenza-aborto-motivazioni/

Il premio nobel Muratov sulla guerra

Dmitrij Muratov è il direttore di Novaya Gazeta, un quotidiano russo indipendente che esce due volte a settimana. Tra i suoi giornalisti e collaboratori ci sono state cinque vittime dal 2000. Fra queste inchieste molte sono state firmate da Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca nel 2006. Dmitrij Muratov è stato insignito nel 2021 del premio nobel per la pace 

Il 25 febbraio ha pubblicato sulla Novaya Gazeta un editoriale che dice così:

«Stamattina presto ci siamo trovati tutti in relazione, addolorati. Il nostro paese per ordine del presidente Putin, ha dichiarato guerra all’Ucraina e non c’è nessuno che può fermarla, la guerra. Perciò, oltre a essere addolorati abbiamo, e ho, anche vergona. Dalla mano del comandante supremo, come il portachiavi di una macchina costosa, penzola il pulsante dell’attacco nucleare. Che il passo successivo sia un attacco nucleare? Non riesco a interpretare in altro modo le parole di Vladimir Putin sull’arma della rappresaglia. Questo numero di Novaya Gazeta che esce venerdì (25 febbraio) lo pubblichiamo in edizione bilingue, in ucraino e in russo, perché per noi l’Ucraina non è un nemico e la lingua Ucraina non è la lingua del nemico e non lo saranno mai. Infine solo un movimento globale contro la guerra può salvare la vita sul nostro pianeta».

Traduzione dal russo di Paolo Nori

Murale di Laika, 15 e il 16 febbraio, Roma

Fahrenheit Chi ha paura di Dostoevskij?

La bolla (non) covid free

MSC crociere ha garantito una bolla covid free ai passeggeri. Stando a quanto riferito sono state rispettare regole di imbarco precise. I passeggeri, vaccinati e con tampone, si sono imbarcati. Poi si sono contagiati in 150 e sono stati isolati infine sono stati fatti sbarcare.

Non si capisce bene se la crociera è finita, è stata interrotta e se gli altri hanno potuto proseguire. Il caso ha suscitato interesse e a un certo punto è arrivata la notizia che è stata intentata una causa collettiva alla MSC per aver garantito una cosa che non era possibile: una bolla covid free.

MSC sostiene che i passeggeri saranno rimborsati, perché è stata prevista un’assicurazione Covid, ma il problema economico legale non può nascondere la vera domanda che solleva questa vicenda.

Infatti è inevitabile chiedersi se il problema non consista proprio nella volontà di perpetrare a tutti i costi un’idea che, alla prova dei fatti, non può essere garantita nel concreto e che può ingenerare in chi si pone sotto questo scudo di carta un falso senso di sicurezza.

Il concetto di bolla o corridoio covid free garantito tramite green pass e considerato impermeabile al contagio Covid perché riservato ai soli vaccinati, in questo caso e in altri simili, non ha danneggiato i non vaccinati esclusi, al contrario ha danneggiato proprio i vaccinati (come è anche chi scrive).

Di buono c’è che i passeggeri non sono stati particolarmente male, almeno così sembra, che i vaccini stanno proteggendo i più fragili e i più anziani da esiti gravi, e Omicron pare avere a tutti gli effetti una letalità ridotta a fronte di una altissima contagiosità.

Fatto sta che quando ci siamo resi conto che si apriva tutto, pur senza ansie e fobie particolari, in famiglia siamo diventati più cauti di prima. Non pensiamo che il nostro comportamento debba essere quello di tutti ma solo che ogni situazione vada valutata singolarmente, in base alle possibilità e ai rischi di ciascuno.

Non contestiamo nemmeno la scelta del Governo, solo ci lascia perplessi il fatto che non sia stata comunicata con chiarezza e abbiamo dovuto scoprirlo dai fatti. Comunque sia saremo cauti finché non si calma questa ondata e di certo non perché siamo diventati improvvisamente asociali.

È vero che in casa siamo tutti vaccinati, è vero che Omicron è meno letale ma non ci fidiamo dell’idea che il green pass ci protegge da tutti i pericoli perché abbiamo la responsabilità di una persona anziana, in salute e con patologie pregresse.

Se qualcosa ci protegge, quello semmai è il vaccino, non il green pass. Non si vede infatti come per un anziano con patologie faccia qualche differenza essere eventualmente contagiato da persone vaccinate o non vaccinate.

Se il problema è il residuo residuo di variante Delta, a quanto pare ancora il circolazione, e lo “portiamo a nonno”, non sarà una consolazione sapere che siamo stati contagiati da un vaccinato piuttosto che un non vaccinato.

Tutti avremmo potuto accontentarci del fatto che il vaccino ci protegge da esiti gravi, anche se non ci rende immuni. Non c’era per forza bisogno di credere che potevamo creare una società parallela di soli vaccinati in cui il Covid non poteva avere accesso.

E forse sarebbe stato meglio per tutti.

https://www.rainews.it/articoli/2022/01/Covid-focolaio-a-bordo-di-una-nave-da-crociera-Msc-nel-porto-di-Genova-Piu-di-cento-i-positivi-433c0fe3-6fb2-4684-acf2-377f422d9b16.html

Alcune buone ragioni per guardare Squid Game

È montata in questi giorni la polemica su Squid game, la serie coreana distribuita da Netflix a partire dal 17 settembre 2021. Serie che ha il suo bel disclaimer “vietato ai minori di 14”. Sarebbe una buona idea quella di attivare il parental control. C’è infatti la possibilità di proteggere con un PIN ogni profilo utente in modo che ogni bambino potrà accedere al proprio profilo senza riuscire a modificare le restrizioni. Ma non è questo l’argomento del mio post.

La serie racconta la storia di persone diventate povere o indebitate, a causa delle dinamiche socioeconomiche del loro paese, che scelgono di partecipare a una serie di giochi che culmina con la vittoria di un solo partecipante. Chi perde durante le prove non viene eliminato ma viene ucciso sul posto e i cadaveri vengono cremati. Alcuni di essi, morenti ma non ancora morti, vengono usati per l’espianto di organi di nascosto dall’organizzazione che ha indetti i giochi.

Il tutto è raccontato dal punto di vista di Seon Gi-hun, i futuro giocatore 456, che fa da cicerone nelle due puntate prelimari all’interno delle contraddizioni della società coereana dove, si scopre, gli indebitati e i poveri si vendono gli organi per far fronte ai bisogni economici.

Seon Gi-hun è un ludopatico indebitato, che decide di partecipare al gioco per riscattarsi. Durante una prima fase, quando i giocatori capiscono la vera natura delle prove, decidono secondo le regole del gioco di sottoporre a votazione la sua continuazione. Infatti la regola numero 3 prevede che se la maggioranza dei giocatori vota di smettere, tutti se ne vanno a casa senza ricevere nessun premio. Il premio aumenta per ogni giocatore morto, valutato per una cifra fissa. Di fronte a questa prospettiva, terribile e allettante, la maggioranza decide per smettere. Tutti ritornano alle gramaglie della loro vita. Salvo poi essere convocati una seconda volta e riprendere il gioco fino alle estreme conseguenze,

Seon Gi-hun (n. 456) non rappresenta solo il punto di vista da cui è narrata la storia ma è anche uno dei personaggi in controtendenza. Pur spinto dal desiderio/bisogno di denaro rifiuta però di agire violenza. La serie rappresenta aspetti reali della società sudcoreana dove ci si indebita facilmente con conseguenze disastrose. Il personaggio di Seon Gi-hun (n. 456), pur difendendosi dalle aggressioni, non uccide mai nessuno anzi protegge i deboli e aiuta gli altri a sopravvivere. L’unica volta che vince contro il vecchio Oh Il-nam (n. 001) è il vecchio stesso, malato terminale, che decide di perdere e quindi di lasciarsi uccidere.

Fa riflette il fatto che, come riferisce la reporter LIM Yun Suk, durante una manifestazione per indurre il governo a migliorare i diritti dei lavoratori, diversi lavoratori sindacalizzati si siano vestiti con i costumi di Squid Game. E fa riflettere anche in relazione al gruppo di personaggio scelti. Squid game è la rappresentazione della catena alimentare sociale. I giocatori sono tenuti sotto controllo da alcune guardie vestite di rosso, sotto la sovrintendenza di un presentatore o front man. Il front man sta sopra le guardie ed è a sua volta sottoposto ai vip, gli ospiti ricchi che assistono al gioco organizzato da un personaggio occulto che si rivela solo alla fine. Le guardie hanno un gerarchia al loro interno segnalato dal simbolo che hanno sopra la maschera: il quadrato sta sopra il cerchio, il cerchio sta sopra il triangolo. Al tempo stesso comandano i concorrenti che sono la parte più bassa della catena alimentare perché hanno perso tutto e possono solo combattere tra di loro. Ma nessuno è al sicuro. Chiunque sgarra, delle guardie e dei concorrenti, può essere ucciso oppure premiato a seconda dei desiderata di chi comanda il gioco. I manifestanti hanno scelto i costumi delle guardie, non dei concorrenti. Sono sottoposti a chi comanda ma non si identificano nella condizione di chi ha perso tutto come i concorrenti di Squid game.

Sono molti gli episodi in cui la serie porta in luce le contraddizioni di una società ipercompetitiva. Gli amici si trovano a dover scegliere di tradire gli amici ma, appunto, nelle situazioni di gioco sono rappresentate le scelte opposte. Cho Sang-woo (n. 218), capo di una società di investimenti sommerso di debiti che ha truffato i clienti, decide di sacrificare Abdul Ali (n. 199), un immigrato pakistano incapace di provvedere alla famiglia perché il proprietario della fabbrica in cui lavorava non lo paga. Kang Sae-byeok (n. 067), profuga nordcoreana che vuole far emigrare sua madre, viene salvata da Ji-yeong (n. 240), una ragazza appena uscita di prigione per aver ucciso suo padre che aveva assassinato sua madre. Ji-yeong (n. 240) sceglie di perdere e di essere uccisa, Cho Sang-woo (n. 218) sceglie di tradire l’amico, che ha vinto al gioco delle biglie contro di lui. E poi di uccidere a tradimento la stessa Kang Sae-byeok (n. 067) per non doversi misurare con lei nel gioco.

Squid game racconta che la vera ricchezza non sono i soldi ma il potere che con essi si acquisisce. Infatti Seon Gi-hun, che vincendo ha acquisito il potere di influire sulle vite degli altri, non usa i soldi per sé ma per provvedere alla madre di Cho Sang-woo, che lui stesso ha sconfitto nello scontro finale. Nemmeno in questo caso Seon Gi-hun uccide l’avversario: è lo stesso Cho Sang-woo che si suicida in una sorta di redenzione finale. E Seon Gi-hun, che ha vinto il gioco, usa i soldi secondo la sua etica. Affida il fratellino di Kang Sae-byeok alla madre di Cho Sang-woo dando loro una vaglia di soldi e senza rivelare alla madre della crudeltà spietata del figlio.

Seon Gi-hun rompe il determinismo violenza – denaro – potere – violenza che è la struttura della dinamica non solo del gioco ma anche della società in cui il gioco è inserito. Pur dentro i meccanismi violenti della società che il gioco rappresenta, pur responsabile di negligenze ed errori, sceglie deliberatamente di non fare del male agli altri. E quando ottiene i soldi decide di non usarli in modo egoistico.

La serie è piena di questi riferimenti talmente messi in chiaro da essere didascalici. Atti di ribellione al darwinismo socioeconomico che sono metafore semplici, come nello stile coreano, ma efficaci per rappresentare anche la nostra società occidentale falsamente meritocratica, competitiva, spietata con i più fragili e con chi non si adatta o rifiuta le spavalde e aggressive regole del gioco. Gioco a cui alcuni partecipano per prevalere e altri semplicemente per sopravvivere.

È questo che racconta la serie. Con immagini violente sì, ma mai gratuite, mai indugiate sul dettaglio morboso. Le morti sono scioccanti, ma riprese da lontano. Il sangue è mostrato ma diventa simbolo. E poi c’è il dettaglio assurdamente edulcorato dei cadaveri portati via dal campo di gioco dentro delle bare nere che somigliano a scatole da regalo nere con uno smaccante fiocco rosa a sminuire l’esistenza stessa delle persone uccise in questo assurdo gioco il cui unico scopo è di trastullare il gruppo di ricchissimi vip che assiste al suo svolgimento.

Lo stesso fiocco rosa, dichiara il regista Hwang Dong-hyuk, è da intendersi come regalo da parte dell’ideatore dei giochi ai concorrenti. Come se l’ideatore dei giochi dicesse ai giocatori: “questo è il mio dono per voi. Anche il fatto che i vostri corpi siano stati gettati nell’inceneritore è una dimostrazione della mia misericordia”. La possibilità di liberarsi di una vita di miseria e abiezione, la misericordia manifestata con la distruzione stessa del corpo dei poveri attraverso l’inceneritore dentro una bara da lui regalata.

Ora, che i bambini non colgano tutti questi significati è normale. Il vero, gravissimo, problema è che non li colgono nemmeno gli adulti che chiedono la censura della serie.

Questa è la cosa che dovrebbe interrogarci.

Perché degli adulti capaci di intende e di volere guardano la rappresentazione del darwinismo sociale di matrice ultra liberista e non lo vedono affatto?

IS

(un ringraziamento a Giuseppe d’Elia e David Bonaventuri per le segnalazioni)

fonte: https://www.ilpost.it/2021/10/18/squid-game-debiti-corea-del-sud/

fonte: https://www.scmp.com/news/asia/east-asia/article/3153213/south-korean-protesters-squid-game-outfits-defy-coronavirus?module=perpetual_scroll&pgtype=article&campaign=3153213

fact checking: https://www.newsweek.com/fact-check-south-korea-protesters-squid-game-1641624

Luana morta in fabbrica. Il corpo, il femminismo e la politica.

Natalia Aspesi ha scritto un pezzo di confronto tra la morte in fabbrica di Luana D’Orazio e alcuni temi del femminismo contemporaneo. Gli argomento continuavano a risuonarmi in testa così mi sono riletta in dettaglio il pezzo in cui parlava di Luana, dell’operaia a cui è stato strappato lo scalpo in un calzaturificio di Asolo e dell’operaio morto schiacciato in una fabbrica di materie plastiche a Busto Arsizio.

La cosa mi ha colpito soprattutto per il clamore che sollevato sui media e sui social in merito alla questione, questione che alla fine si è messa a ruotare intorno alla Aspesi invece che a Luana. Se non nomino tutti quelli che sono intervenuti è solo perché c’è stata una tale serie di rimbalzi polemici che non ho voglia di ricostruirli.

Comunque per capire ho cercato le notizie di cronaca e ho letto una frase su una delle altre morti non mediatizzate di cui parla la Aspesi, che mi è arrivata come un cazzotto nello stomaco: “La donna si è presentata davanti all’azienda in compagnia della suocera per chiedere gli effetti personali del marito”. È una scena che conosco. Lo dico senza un briciolo di autocommiserazione. Anni fa un amico bussò a casa mia a notte fonda per dirmi di uscire con lui perché suo padre stava morendo. Non feci discussioni e nel tragitto per l’ospedale mi spiegò dell’incidente sul lavoro.

Arrivammo che suo padre era già morto e quel sacchetto di plastica con gli effetti personali glielo consegnarono in mano. Il giorno dopo avevo un compito di storia che il mio senso del dovere idiota mi impose di non disertare. Durante la ricreazione guardai quel giornale che avrei evitato se fossi rimasta a casa. Il bidello lo teneva aperto sulla pagina locale: c’era un infimo trafiletto che dava la notizia, a segnalare la normalizzazione di questi eventi proprio nella sua evasiva brevità. E questa cosa continua a succedere ancora oggi per gli incidenti sul lavoro, anche nei casi letali. Difficilmente i morti sul lavoro passano dalla cronaca locale alle testate nazionali.

Solo Luana D’Orazio è salita agli onori dei quotidiani di tutto il paese occupando brevemente l’intera scena. Per un momento Luana ha percorso gli infiniti capillari dei canali media e social con tutto il nero splendore della sua storia. Talmente pop, nell’immaginario di tutti, da arrivare ad essere ritratta in un murale. La santa laica, la madre dell’orfano, la bambina uccisa. Ogni volta che scrivo e ritocco il testo le mani mi diventano gelide com’è gelido quello che provo verso tutta la vicenda.

Qual è la differenza tra gli schieramenti contrapposti e quale il legame? Qual è la cosa che non riescono a vedere? È questa: il ruolo del corpo nel successo della notizia. “Immaginate il bel corpo giovane di Luana, un corpo come il vostro, straziato da una cieca macchina” scrive la Aspesi che coglie, ma senza approfondirlo, il punto centrale della narrazione. La notiziabilità del corpo di Luana, così bello, così giovane, così narrativamente adatto a farne una mini epopea popolare. Notiziabilità che nel rovescio della propria medaglia significa la scarsa, scarsissima, spendibilità mediatica di quello che come Luana non è. Di quello che non è bello e non è giovane, come nel caso degli altri operai feriti e uccisi.

Percentualmente parlando, la maggior parte della copertura mediatica per Luana D’Orazio non riguarda gli incidenti sul lavoro né le cause della sua morte. Riguarda la sua bellezza, la sua giovinezza, la sua maternità precoce, la sua comparsata nel film di Pieraccioni, i suoi video spensierati.

Alla fine tutto questo ha finito per divorare l’unica realtà: Luana non è morta per ragioni minimamente legate a questa narrativa, non serve evocarle; Luana è morta sul posto di lavoro. Il suo corpo bello, il suo viso giovane sono finiti dentro una macchina tessile. La macchina non fa differenza. Ma di questa storia sarebbe importato molto meno se la sua immagine non fosse stata così appetibile per la narrativa dei media.

E forse è proprio questo il punto di rottura ma anche di contatto che non si riesce a trovare tra gli schieramenti opposti, come in fondo in tutta la questione del contrasto tra narrativa e sostanza. L’ossessione del corpo, sempre soggetto alla valutazione e alla misurazione da parte di altri. In funzione della conformità alle attese sociali o al successo della notizia. So che non si capisce da che parte sto, se pro o contro la Aspesi. Ho scelto, ma in questo discorso il mio schieramento non ha alcuna importanza.

Sulla figura di Luana D’Orazio, vittima di un incidente sul lavoro, è stato applicato un filtro Instagram. Il corpo fisico consegnato al racconto orrorifico della macchina che ne fa scempio. L’immagine affidata alla narrazione di una bellezza eterna, celebrata dai media che si sono fatti teca di cristallo. Una teca come quella di Biancaneve che ha dominato il dibattito pubblico di quei giorni in una polemica infiammata ed effimera.

La morte di Luana – così vicina, attuale, drammatica – necessitava di emotività e semplificazione per essere facilmente assimilabile dal pubblico. Così è partito il filone narrativo della bellezza, della giovinezza, della maternità fresca. Ci hanno raccontato un fiore appena sbocciato alla vita e subito spezzato dalla macchina crudele. E sarebbe una favola perfetta non fosse che la questione non è affatto romantica ma crudamente pragmatica, economica, contrattuale, politica.

Esiste un modo per silenziare la questione sindacale? La rivendicazione della sicurezza? Il tema delle responsabilità e delle cause? Sì, raccontare una favola. Raccontare l’archetipo della bella giovane falciata dalla crudele macchina. Adesso sì che il tema del corpo ritorna – “il bel corpo giovane di Luana” – nel suo significato di oggetto di attenzione. Ma torna per occupare tutta la scena e cancellare con la sua presenza ogni altra istanza. E Luana viene masticata per la seconda volta da questa narrazione che sostituisce il panegirico del corpo alla politica ma il corpo in sé non lo rispetta affatto.

La vaccinazione dei più fragili

«I vaccini Pfizer infatti sono stati dati a centinaia di migliaia di studenti di medicina, amministrativi e iscritti a vari ordini professionali, indipendentemente dal fatto che avessero contatto con i pazienti, e soprattutto indipendentemente dal loro rischio personale, che sotto i trenta-quarant’anni è minimo. Ancora oggi si continuano a vaccinare studenti universitari e professionisti trentenni che lavorano a distanza, per i quali essere vaccinati o no cambia ben poco, sprecando questa risorsa così preziosa, che per tanta gente più anziana può invece fare la differenza tra la vita e la morte. Questo per inseguire la chimera dell'”immunità di gregge”, che è molto improbabile poter raggiungere in questo caso, tanto meno in una condizione di carenza di vaccini, come saremo a lungo. La vaccinazione doveva servire sì a mettere in sicurezza gli ospedali, nel senso di mantenerli in funzione – quindi ok vaccinare il personale, così come altri liberi professionisti ad alto rischio (penso a dentisti e assistenti) -, ma subito dopo, l’obiettivo della campagna vaccinale doveva essere quello di proteggere i più fragili, per ridurre il carico sugli ospedali stessi».

Il problema dell’approvvigionamento dei vaccini preoccupa tutti i Paesi, ma più del numero assoluto delle dosi…

Pubblicato da Roberta Villa su Lunedì 22 febbraio 2021

I dati vengono dal report del Governo italiano sui vaccini anticovid
 
 
 
situazione al 22 febbraio 2021
situazione al 25 febbraio 2021
23 febbraio 2021

Vaccini, il giallo delle 800 mila dosi in più (distribuite agli uffici e non agli anziani)

di Federico Fubini e Simona Ravizza
25 feb 2021

«Tra due giorni, i Paesi europei conteranno due mesi esatti dall’inizio della campagna vaccinale più complessa della loro storia. E pur nel ritardo complessivo di tutto il continente, non è andata nello stesso modo per tutti. L’Italia nelle prime tre settimane è partita più veloce della media europea, ma da allora ha iniziato a rimanere un po’ indietro. La Francia è partita piano, mentre dalla terza settimana ha recuperato. Oggi Italia e Francia viaggiano quasi appaiate: la prima ha vaccinato almeno con una dose il 6% della popolazione, la seconda il 5,9%.

Questi dati non rispondono però a una domanda essenziale, vista la capacità di Covid-19 di discriminare in base all’anno di nascita dei contagiati: chi ha già ricevuto le somministrazioni? Saperlo è utile, perché in Italia l’86% delle vittime del virus aveva 70 anni o oltre. Quante dosi sono state date agli anziani, visto che il Paese anche di recente ha continuato a perderne oltre diecimila al mese? E quante ai giovani?

La distribuzione del vaccino per età
Pochissimi Paesi europei informano sulla scomposizionedei vaccini in base all’età. Il ministero della Salute tedesco, a ripetute richieste del Corriere della Sera in proposito, non ha mai risposto. Italia e Francia invece sono molto trasparenti, ma proprio la ricchezza dei loro dati — del ministero della Salute e di Geodès Santé Publique — fa emergere differenze radicali nell’approccio fra i due Paesi. A ieri, la Francia aveva vaccinato un esercito di anziani in più rispetto all’Italia: con almeno una dose, ne aveva messi un po’ meglio al sicuro quasi 900 mila settantenni o oltre in più. In realtà probabilmente lo scarto è maggiore, perché il ministero della Salute di Roma informa solo sul totale di dosi somministrate per età e molti anziani nelle case di riposo ne hanno ricevute già due. Ne ha coperti almeno 485 mila in più nella fascia dei settantenni (70-79) e almeno 406 in più fra chi ha 80 anni e oltre, pur con dimensioni della popolazione quasi uguali in queste fasce d’età. Dato che quasi nove vittime su dieci di Covid fanno parte di quelle generazioni, la differenza può avere implicazioni serie.

Anziani trascurati dalla campagna di vaccinazione
Ma davvero è tutto qua? Lo squilibrio nella distribuzione dei vaccini in Italia per ora è davvero importante. I settantenni (70-79 anni) in Italia hanno ricevuto appena il 3,7% delle dosi anche se sono il 10% della popolazione e uno su dieci fra loro, se contagiato, muore. In Italia anche i ventenni (20-29) sono il 10% della popolazione, eppure hanno ricevuto il 10% delle dosi benché fra loro muoia appena un contagiato su mille. Quanto agli ottantenni, fra i quali i decessi avvengono in due casi di contagio su dieci, a lunedì avevano avuto molte meno dosi dei trentenni (che pure muoiono in sei casi su mille)».

https://www.corriere.it/economia/lavoro/21_febbraio_25/vaccini-covid-uffici-d8a3b3d8-76d9-11eb-843a-1237b4657d5e.shtml


Intervista di Radio1 a Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale (Simg)

«La signora Livia, 86 anni, pur di non perdere la prenotazione per il vaccino, fa 4 km a piedi. Regioni e colori, la mappa aggiornata e le norme in vigore in attesa dei cambi che ci saranno domani. Prenotazioni per i vaccini e somministrazioni, ogni Regione ha il suo metodo ma si crea il caos. Il giallo delle dosi scomparse, a chi sono state somministrate? Mascherine cinesi, scattano un arresto e misure interdittive, l’accusa è traffico di influenze illecite. Di che si tratta? Queste le notizie principali ‘sotto inchiesta’ nella puntata di oggi. Sono intervenuti: Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale (Simg), Bruno Sokolowicz, inviato del Giornale Radio Rai, Diodato Pirone, giornalista de Il Messaggero, Federico Fubini del Corriere della Sera e Federico Vianelli, avvocato cassazionista e docente di Diritto Pubblico all’Università di Padova.

Link alla puntata


Piano vaccinale, le Raccomandazioni per la Fase 2 un insulto alle persone con disabilità

di Lisa Noja

 23 febbraio 2021

Il j’accuse di Lisa Noja: «Sfuggono a qualsiasi logica i requisiti individuati per identificare le “persone estremamente vulnerabili”, che avranno diritto ad accedere alla vaccinazione subito dopo il completamento della copertura di tutti gli over 80. Solo per fare alcuni esempi, non sono incluse altre malattie neuromuscolari, come la SMA o le le distrofie muscolari di Duchenne e Becker, malattie metaboliche e lisosomiali e molte altre. Scelte discriminatorie e illogiche»

È passato un anno dalla notizia della positività al Covid19 del paziente 1 di Codogno. Dodici lunghi mesi in cui i malati rari, come me, i pazienti affetti da altre gravi cronicità e, in generale, tutte le persone con disabilità hanno vissuto paura e fatica, tantissima fatica. Ogni singolo giorno. Una fatica che ha messo a durissima prova la resilienza di chi pure ha fatto di tale qualità un esercizio esistenziale.

Ebbene, dopo un anno come quello passato, non posso nascondere che leggere le Raccomandazioni sulle priorità della Fase 2 della campagna di vaccinazioni anti-SARS-CoV- 2/COVID-19, pubblicate dal Ministero della Salute l’8 febbraio scorso, è stato un pugno nello stomacoSfuggono, infatti, a qualsiasi logica i requisiti individuati per identificare le “persone estremamente vulnerabili”, che avranno diritto ad accedere alla vaccinazione subito dopo il completamento della copertura di tutti gli over 80.

L’esempio più eclatante di questa illogicità emerge con riferimento ai soggetti con “condizioni neurologiche e disabilità (fisica, sensoriale, intellettiva, psichica)”, in quanto tali condizioni sono definite dalle Raccomandazioni come “sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, paralisi cerebrali infantili, pazienti in trattamento con farmaci biologici o terapie immunodepressive e conviventi, miastenia gravis, patologie neurologiche disimmuni”.
Inspiegabilmente, non sono elencate numerose altre malattie rare che comportano comorbilità del tutto equivalenti e disabilità altrettanto gravi. E così, solo per fare alcuni esempi, non sono incluse altre malattie neuromuscolari, come la SMA o le le distrofie muscolari di Duchenne e Becker, malattie metaboliche e lisosomiali e molte altre.

Qualcuno potrà sostenere che l’elenco sia solo esemplificativo, ma questo non è precisato in nessun passaggio delle Raccomandazioni. Tanto che molte associazioni hanno ritenuto doveroso scrivere al Ministero della Salute per chiedere un immediato chiarimento. Analoghe incongruenze emergono anche con riferimento alle malattie respiratorie, dove si fa riferimento alla fibrosi polmonare idiopatica e ad “altre patologie che necessitino di ossigenoterapia”, omettendo di menzionare la fragilità delle tante persone che utilizzano il ventilatore polmonare, senza necessità di ossigeno. E ancora, per le patologie oncologiche, si indicano i “pazienti onco-ematologici in trattamento con farmaci immunosoppressivi, mielosoppressivi o a meno di 6 mesi dalla sospensione delle cure e conviventi. Genitori di pazienti sotto i 16 anni di età. Pazienti affetti da talassemia”. Rientrano nella priorità gli altri malati oncologici? Non è dato saperlo con certezza.

Queste lacune e contraddizioni a livello nazionale non potranno che indurre le Regioni a determinare in via autonoma, e spesso differenziata, le modalità di individuazione delle categorie delle persone “estremamente vulnerabili”, con il conseguente rischio che un paziente lombardo sia trattato diversamente da uno che risiede nel Lazio. Una discriminazione territoriale insopportabile tra cittadini che si trovano in condizioni di rischio del tutto analoghe. Del resto, questo è il risultato di un approccio che, adottando esclusivamente criteri medico- nosografici, rischia di tradursi in elenchi di patologie sempre incompleti, perché sfuggirà sempre qualcuno con rischio clinico assolutamente equivalente.

Non solo, questo approccio ha espunto dall’analisi tutte quelle criticità ambientali e relazionali di cui si dovrebbe necessariamente tenere conto nella definizione delle priorità. Nessuna rilevanza è data, infatti, alle difficoltà per molte persone con disabilità non autosufficienti o non collaboranti di praticare le misure di distanziamento, alle criticità di diagnosi (per molti effettuare un tampone è difficilissimo) o a quelle legate alle esigenze di isolamento e quarantena domiciliare o di gestione di un eventuale ricovero, né tanto meno si considera il rischio di un ulteriore isolamento sociale e
regressione cognitiva legato al contagio. Non è un caso, quindi, che le Raccomandazioni abbiano di fatto escluso dalla precedenza tutte le persone con disabilità intellettive e psichiche, salvo chi ha la sindrome di Down (inclusa solo per la frequente presenza di cardiopatie congenite che essa comporta).

Così come non avranno precedenza vaccinale persone con condizioni invalidanti, anche ove in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge n. 104/1992. Una certificazione chiara, rilasciata da INPS dopo una serie di accertamenti che danno assoluta certezza sulla condizione di fragilità di chi ne è titolare. Né sarà accordata una priorità ai caregiver delle persone con disabilità, e ciò nonostante si tratti di soggetti per i quali siano riscontrabili criticità analoghe a quelle individuate per il personale sociosanitario e per quello delle RSA. Nelle Raccomandazioni, infatti, solo con riferimento ad alcune specifiche patologie è indicata come prioritaria anche la vaccinazione dei conviventi della persona malata, mentre in tutti gli altri casi questa raccomandazione non è presente.

Qualcuno può pensare che queste considerazioni lascino il tempo che trovano perché comunque oggi le dosi vaccinali sono poche, insufficienti a coprire tutti i fragili e, quando ne avremo molte, il problema sarà automaticamente superato. E’ un osservazione che non tiene conto del livello di frustrazione che questa situazione di incertezza, questa impossibilità di avere anche solo una prospettiva temporale sta generando in chi da mesi combatte una battaglia silenziosa e costante per sfuggire al virus, cercando di continuare a lavorare e a vivere, almeno un pochino, seppur in uno stato di sostanziale isolamento sociale.

Le persone vulnerabili, come ho detto, sono capaci di prove straordinarie di resilienza, ma non esiste possibilità alcuna di adattarsi a scelte sanitarie illogiche, discriminatorie, in ultima analisi eticamente inaccettabili. Questo la politica non può e non deve ignorarlo.

http://www.vita.it/it/article/2021/02/23/piano-vaccinale-le-raccomandazioni-per-la-fase-2-un-insulto-alle-perso/158432/?fbclid=IwAR3d2kizOu7ztWvW95HDl6OT6bv9kLKoYn31rLkyqVusAAtRFUTaBdbImBQ


Il flop dei vaccini dell’Europa e dell’Italia

di Alberto Negri

Quello dei vaccini è un maledetto imbroglio. Sul Covid, la più grave emergenza globale del dopoguerra, l’Europa e l’Italia stanno consumando il peggiore fallimento della loro storia. Non è un caso che nella Ue si chiudano le frontiere in barba alle regole di Schengen: nessuno qui crede più a nessuno.Anche per questo il nostro governo dovrebbe svegliarsi e tentare di procurarsi le dosi necessarie di vaccino senza badare troppo al politically correct e alle favolette che racconta da Bruxelles Ursula von der Leyen: ognuno sta andando per conto suo. Siamo in stato di emergenza da un anno ma ci comportiamo come se la pandemia del secolo si potesse affrontare con mezzi e metodi normali. Se si vuole uscire da questa situazione in estate serve vaccinare, secondo gli esperti, almeno 25-30 milioni di persone e al più presto possibile le fasce anziane più vulnerabili per evitare mettere sotto stress il sistema sanitario nazionale e le terapie intensive.Ci sono soltanto 3,6 milioni di persone vaccinate con 5 milioni di dosi disponibili non ancora utilizzate per una serie di inefficienze nel sistema. Nelle previsioni iniziali le dosi che dovevano essere già arrivate in Italia erano più del doppio: 28 milioni, cinque volte di più. Un risultato assai scoraggiante. Fino a poco meno di un mese fa l’Italia era il secondo paese in Europa per numero di vaccinazioni. Oggi, invece, siamo scivolati verso il fondo della classifica.La notizia che AstraZeneca dimezzerà in Italia le consegne di vaccini nel secondo trimestre _ un crollo da 24 a 12 milioni di dosi _ non aiuta, anzi rende le cose più drammatiche. Non esiste infatti un piano vaccinale nazionale e proprio AstraZeneca ha contribuito ad aumentare la confusione. L’arrivo di AstraZeneca con la prima indicazione da parte di Aifa di un suo utilizzo solo per gli under 55, poi passata a 65, ha portato a uno stravolgimento del Piano vaccini con un’apertura anticipata della fase della vaccinazione di massa. In funzione di questa nuova necessità, il Piano è stato modificato con la previsione di due percorsi paralleli: da una parte le regioni proseguono la prima fase con la vaccinazione degli operatori sanitari, ospiti delle Rsa ed over 80 con i vaccini di Pfizer e Moderna; nel contempo si è iniziato ad usare il vaccino di AstraZeneca su alcune categorie ben definite, a partire dalle Forze armate e di Polizia, fino al personale scolastico.Ma non esiste un piano vaccinale nazionale. Questo perché il piano contro il Covid è quasi totalmente demandato alle Regioni. Quindi quando il governo parla di vaccinazioni di massa in realtà non ha un controllo del processo: in poche parole non sa quello che dice. Bocciato definitivamente con l’arrivo di Draghi il progetto ‘Primule’, ovvero quei padiglioni “evocativi” temporanei da costruire nelle piazze delle città sponsorizzati a metà dicembre dal commissario Arcuri, nel Piano si spiega che sono le regioni a dover stabilire la localizzazione dei punti vaccinali, il coordinamento operativo degli addetti, nonché il controllo sull’esecuzione delle attività. Al livello centrale, invece, compete la definizione delle procedure, degli standard operativi e dei lay-out degli spazi che dovranno essere utilizzati per l’accettazione, la somministrazione e la sorveglianza degli eventuali effetti a breve termine delle vaccinazioni.Insomma il governo non governa il piano vaccini, è solo un supervisore. In sintesi si conferma, a causa della nostra struttura politico-amministrativa, e delle sue inevitabili inefficienze, che l’Italia è una sorta di espressione geografica costituita da entità che agiscono in autonomia e senza un effettivo controllo. Per questo governare l’Italia è quasi inutile in quanto non esiste come entità unitaria. Inutile anche appellarsi alle Forze Armate, ai carabinieri o alla polizia: sono una parte dello stato, ne condividono le contraddizioni, e non sono in grado, se non in minima parte, di sopperire alle deficienze locali e centrali.L’Unione europea questa volta però non ci può dare lezioni. E questo è ancora più grave. La presidente della commissione ci ha appena confermato che Pfizer, Moderna e AstraZeneca consegnano meno dosi di quelle previste e che Bruxelles ha in mano dei contratti che sono poco più che dichiarazioni di intenti da parte delle aziende coinvolte. “Una lezione che abbiamo imparato dalla pandemia è la nostra dipendenza da alcune materie prime provenienti solo da una manciata di produttori. A volte questi produttori provengono esclusivamente dall’estero”, ha appena dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Ora la signora Von der Leyen sarà anche una bravissima persona ma appare un po’ ingenua e impreparata: dice cose ovvie e non ha, al momento, soluzioni alternative da offrire. Per questo ci dobbiamo dare una mossa, e anche alla svelta.

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