Uteri portatili e portatrici di utero

di Ilaria Sabbatini

Bene, oggi sarà una giornata elettrica. Qui siamo tutti malatini, la libreria è esplosa, i panni da mettere via fanno concorrenza a quelli da lavare, la valigia non è ancora sfatta, ho preso sonno a un’ora indecente e devo sbrigare una quantità di lavoro superiore alla quantità di tempo a disposizione. Tutto normale insomma, compresi i sensi di colpa per il fatto di mettermi a scrivere di attualità mentre dovrei dedicare la testolina ad altre più urgenti questioni pratiche. Nel bel mezzo di questa tempesta domestica e lavorativa, infatti, mi sono giunti gli echi delle polemiche sulla paternità di Vendola che però − rullo di tamburi − parlano di tutto fuorché della Gravidanza Per Altri, altrimenti detta GPA.

Vorrei anzitutto sgombrare il campo dalle oscillazioni linguistiche ponendo l’attenzione su un testo che, a prescindere dalle conclusioni, ha il grande merito di fare chiarezza. Sto parlando dell’articolo di Michela Murgia in cui si affronta la questione della differenza tra gravidanza e maternità fino ad arrivare a definire un linguaggio puntuale per nominare i nuovi fenomeni. Non sono d’accordo su tutto ciò che la Murgia dice ma riguardo all’aspetto linguistico ho adottato in pieno le sue definizioni a partire da gravidanza surrogata al posto di maternità perché sono due cose radicalmente differenti. Attenzione a queste possibili scelte perché, anche se non sembra, implicano già delle posizioni ideologiche ossia un orientamento valoriale specifico.

In secondo luogo vorrei chiarire una volta per tutte che no, non sono le femministe borghesi a porsi dei problemi per la gravidanza surrogata. È esattamente il contrario: sono le femministe più incazzate a farlo, quelle che si sporcano le mani con i gruppi di assistenza legale. Quindi fatemi e fatevi un favore: siate oneste con voi stesse e assestate il tiro di questa polemica semplicistica e riduttiva. La gravidanza surrogata non è una questione per anime belle e apre squarci di riflessione su realtà politiche scomode che non si possono affrontare a colpi di amore, buoni sentimenti e generosità.

Del resto, anche dall’altra parte, c’è tutto un fiorire di enfasi sui legami di pancia che mi lascia perplessa. Non metto in discussione la bellezza dell’esperienza della gravidanza ma non penso nemmeno di essere particolarmente cinica e insensibile. Semplicemente credo sia vero che la maternità si impara ed è, questa, una prospettiva migliore sotto tutti i punti di vista. Ad esempio evita il rischio di impantanarsi nelle secche colpevolizzanti che attribuiscono patenti di buone o cattive madri sulla base di un istinto tutt’altro che dimostrabile. Se poi si vuole salvare la valenza etica dell’adozione bisogna sacrificare molta parte della retorica del legame biologico e dell’istinto materno. Non per negare l’esistenza di quel legame biologico ma per scansare il rischio di fare del legame con i figli adottivi una maternità di serie B.

La questione della GPA è una prassi che pone problemi politici seri riguardo la disparità sociale ed economica tra genitori genetici e gestanti. Non volete affrontare questo aspetto? Bene, fatevi da parte perché il cuore del problema è tutto lì. Il punto critico della GPA è proprio il pagamento della prestazione e lì si scontreranno veramente le posizioni quando cadranno le questioni più o meno complementari. La faccenda della libera scelta delle donne, come del resto la retorica della maternità di sangue, diventano puro orpello nel preciso momento in cui vengono scollate dal problema urgente della questione economica.

E già che ci siamo parliamo proprio di questi due punti: l’autodeterminazione delle donne e la maternità uterina. Ovviamente non sarò esaustiva perché i panni chiamano e il lavoro incombe. La retorica della maternità uterina pone un piccolo insignificante problema, come accennavo sopra. Chi continua sulla strada dell’esaltazione di un legame che passa necessariamente dal cordone ombelicale prima o poi dovrà confrontarsi con la contraddizione della maternità adottiva. Una madre adottiva è meno madre perché non ha sentito il bambino muoversi nella sua pancia? Perché non ha stabilito un legame prenatale? Al di là della questione teorica, proprio in questo periodo sto osservando un padre e una madre in attesa del ricongiungimento con le figlie adottive e la loro dedizione mi sconvolge letteralmente. Non hanno vissuto la scoperta della gravidanza, né la gestazione, né l’allattamento, stanno ancora lottando per portarle a casa eppure non ho il minimo dubbio, guardandoli, che quelle bambine siano già figlie loro a tutti gli effetti.

Per quanto riguarda la libertà delle donne, invece, ho sentito pochi argomenti. Sicuramente è un caso o una distrazione ma ho intercettato per lo più molte battute sarcastiche nei confronti delle femministe borghesi. Le femministe borghesi sarebbero, nella vulgata, quelle femministe che si pongono dei problemi  sulla GPA e che − questo lo concedo − eccedono sulla retorica della gravidanza biologica. Bene, se pensate che la GPA faccia parte del bagaglio di libertà delle donne sarebbe bello che ne spiegaste il motivo in maniera non necessariamente polemica. Credo che molte donne siano interessante ad ascoltare questi argomenti e credo anche che il tipo di questione si meriti di più del sarcasmo di qualche battuta tagliente. Mi spiego meglio: l’approccio ironico è sempre indispensabile, ma ironia e sarcasmo sono due cose diverse: nell’ironia si ride con, nel sarcasmo si ride di. E credo che non dovremmo dimenticarci che la GPA, in un modo e nell’altro, è una questione che ci riguarda tutte.

La mia posizione sulla GPA è assai complessa: se credete di intuirla al volo da queste righe vi sbagliate. Ho scritto quello che ho scritto solo per sgombrare il campo da elementi di disturbo e l’ho fatto principalmente per chiarire un po’ di cose a me stessa. Penso che le discussioni si dovrebbero fare sempre sulle scelte, mai sulle persone, tanto meno nei toni eccessivi che si sono adottati contro Vendola fino ad arrivare al vero e proprio parossismo.

Tutto questo però non deve far dimenticare una cosa. In un articolo che non mi trova granché d’accordo la Tavella riferisce una frase che mi ha colpito. In un’intervista a Le iene, due padri, Sergio Lo Giudice e il suo compagno, hanno parlato della loro esperienza con la gravidanza surrogata.  Siccome verifico sempre le mie fonti non mi sono fidata della Tavella e sono andata a cercare direttamente il video di Mediaset  (minuto 1:48). Da una parte ho apprezzato molto la chiarezza di Sergio Lo Giudice che ha parlato apertamente dei costi. Ma alla domanda sul pagamento della gestante surrogata ha risposto in un modo che non condivido e che anzi ho trovato irritante. Domanda: “La portatrice è stata pagata, comunque“. Risposta: “Questo non incide in nessun modo sulla valenza etica di un gesto di questo genere“. Fine.

No, mi dispiace, questa affermazione per me non è accettabile. Sono d’accordo su molte cose ma non si può risolvere tutto così. È troppo sbrigativo ed è inadeguato alla gravità del dibattito. Perché il nocciolo del dibattito sta esattamente lì: la portatrice è stata pagata. Non è una questione di mercificazione dei bambini, di figli biologici, di diritto reale o presunto alla genitorialità. Sì, ci sono anche questi aspetti da considerare ma il punto scivoloso e, direi, estremamente pericoloso è esattamente quello: la portatrice è stata pagata. Non si può eludere e non si può far finta che non costituisca un problema, nemmeno nel caso in cui si accetti in toto il principio della legittimità della gestazione per altri.

Soprattutto non si possono mettere alla pari la figura della portatrice pagata e la figura della portatrice gratuita. Non so nemmeno che linguaggio usare perché non ho intenzioni discriminatorie: sono le definizioni stesse ad essere troppo fragili e complesse.  Sono convinta che la gravidanza surrogata gratuita sia una cosa completamente diversa dalla gravidanza surrogata con scambio economico e le due cose andrebbero trattate come fenomeni differenti.

Le sfumature nelle legislazioni nazionali sono tantissime: si va dai casi in cui la gravidanza surrogata è vietata fino ai casi in cui è esplicitamente permesso il pagamento della prestazione. In Italia, Francia e Germania la gravidanza surrogata è vietata. In Argentina, Nord Australia, Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Venezuela, alcuni stati statunitensi la gravidanza surrogata non è esplicitamente vietata ma spesso sono proibiti, e puniti penalmente, gli accordi che prevedono dei pagamenti, mentre sono accettate le maternità altruistiche, quelle in cui sono previste solo cifre che rimborsino le spese sostenute dalle donne per la gravidanza. In Grecia, Israele, Sudafrica e, parzialmente, in Nuova Zelanda e in Australia la surrogazione è esplicitamente permessa e regolata. Nel Regno Unito le condizioni dell’accordo sono verificate dopo la nascita del bambino. In India, Russia, Thailandia, Uganda, Ucraina e alcuni stati degli Stati Uniti è consentito il pagamento esplicito della gravidanza surrogata. Capite perché è così importante individuare la nazionalità della portatrice? Capite le implicazioni sociali? Capite la centralità della questione del pagamento della gravidanza surrogata?

Eppure la portatrice è proprio la figura che sparisce nella cronaca odierna, quella che si tende a nascondere sotto il tappeto della polvere. Si parla solo dei bambini e dei genitori genetici che − è bene chiarirlo − possono essere indistintamente omo o etero. È una cosa comprensibile che padri, madri e neonati siano al centro dell’attenzione ma mi sorprende che la figura della portatrice sparisca completamente proprio mentre si esalta la generosità del suo gesto, i rapporti che durano e la gratitudine che ispira. Non dico che la portatrice debba stare nelle foto di famiglia tra i genitori, ma questa scarsità di riferimenti alla sua presenza onestamente mi turba.

Qualche giorno fa un’amica mi faceva notare un sistema che potrebbe essere utile a chiarire il concetto: per la donazione del sangue si prevedono i contributi figurativi per chi si assenta dal lavoro a questo scopo ma la persona non riceve denaro. La stessa cosa vale per la donazione del midollo osseo o di un organo, scelte a forte impatto fisico in cui è altamente rischioso introdurre il principio di remunerazione. Senza contare la possibilità di far passare come rimborso spese quella che invece è una remunerazione vera e propria. Checchè se ne pensi è con questo ordine di problemi che bisogna misurarsi.

Non mi preoccupa il fatto che una donna possa liberamente portare avanti una gravidanza per una coppia sterile. Tutt’altro. Capisco che a qualcuno possa non piacere ma da un punto di vista laico lo trovo perfettamente legittimo e addirittura generoso. Mi penso nel ruolo di gestante per mia sorella, per una cara amica, per un amico del cuore e non c’è niente, in tutta onestà, che mi paia brutto o umiliante. Non mi serve nemmeno di tirare in ballo le vicende bibliche di Sara e Agar o di Rachele e Billa perché stiamo ragionando su un piano prettamente laico. Del resto, se si osserva lo sviluppo della vicenda, si noterà non solo che Agar è una schiava e non sceglie la propria gravidanza ma  viene abbandonata con il figlio nell’esatto momento in cui Sara concepisce per conto suo. L’argomento diventa difficile da maneggiare a favore dell’una o dell’altra tesi. Chiusa parentesi. Quello che mi preoccupa, dicevo, è pensare alla gestazione per altri associata a uno scambio di denaro e mi preoccupa il fatto che possa incentivare forme di ulteriore sbilanciamento tra poveri e ricchi.

Mi sembra poi contraddittorio parlare di diritto alla genitorialità − vero o presunto che sia − se il fatto stesso di perseguirlo rischia di introdurre disparità. Se si tratta di diritti devono essere diritti garantiti a tutti, senza distinzione alcuna per ragioni (…) di origine sociale, di ricchezza o di altra condizione. Nella Dichiarazione del 1948 sono citati diritti come la presunzione di innocenza, la libertà di movimento, la cittadinanza, il matrimonio, il lavoro. Io non lo so se si può parlare di diritto alla maternità e alla paternità però so che non ha molto senso parlare di diritti se non si tiene conto dei rischi di sbilanciamento sociale che questi possono produrre. E mi riferisco sia allo sbilanciamento tra le coppie che possono accedere alla genitorialità surrogata e quelle che non possono, sia allo sbilanciamento inteso come disparità economica tra i genitori genetici e la potenziale gestante surrogata.

Ancora una volta ho meno sicurezze alla fine di questa riflessione di quando ho iniziato a scrivere. Non penso, al momento, che sia fondamentale raggiungere una posizione definitiva e mi riservo di cambiare ancora, ragionare ancora, confrontarmi ancora. Due sole cose mi sono chiare: la prima è che in tutto questo dibattito è sparito il tema dell’adozione tradizionale per le coppie sterili, per le persone single, per le coppie omoaffettive. La seconda è il fatto che se ci si vuole distinguere dai “bassifondi della politica”, come ha detto Vendola, bisogna farlo senza ricorrere a scappatoie di comodo, affrontando il nocciolo duro dei problemi a viso aperto, senza girarci intorno.  Combattere gli slogan con gli slogan non è mai stata una buona idea, da qualunque parte venisse.

14 pensieri su “Uteri portatili e portatrici di utero

  1. axiombaduanjin

    èh, son tutte giuste riflessioni. mi di far notare che la murgia, nel suo lungo post, non affronta il tema dell’utero in affitto in sé ma, più che altro, sembra esporre un ragionamento per dedurre quale sia la posizione che deve assumere al riguardo il ‘femminismo’ giusto.
    resta da capire una cosa: senza il corrispettivo economico, se tutti utopicamente avessimo le stesse possibilità economiche, davvero potrebbe esistere una casistica di surrogazione di maternità tale da raggiungere numeri di un qualche rilievo? https://katalambanein.wordpress.com/2016/03/02/188/

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    1. ruminatiolaica Autore articolo

      Bella domanda. Intendiamoci non demonizzo il fatto che ci siano dei soldi di mezzo. Chi si porta un bambino fino alla nascita è soggetta talvolta a limitazioni e sicuramente a spese mediche specifiche. Questo anche in un’ottica di surrogazione altruistica è giusto che ricada sul genitore genetico. Cosa completamente diversa dal rimborso e dal compenso. Per il resto credo che una quantità di donne disposte a farlo ci sarebbero. Di certo con numeri molto ma molto più più ridotti, su questo non c’è dubbio. Da questo ne deriva che l’argomento del gesto di generosità andrebbe usato decisamente con maggior cautela da parte dei fautori della surrogazione.

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  2. il ricciocorno schiattoso

    Grazie per questa riflessione. Da giorni e giorni rimugino sull’uso improprio di parole oimportanti come “amore” e “dono” riferite a quella che è a tutti gli effetti una transazione economica.
    Da femminista, da donna che ha letto molto sul modo in cui la società influenzi la costruzione identitaria di una ragazza in modo da portarla a percepire il proprio corpo come un oggetto funzionale al piacere altrui, mi chiedo come mai – dopo anni di studi sul tema, studi che hanno coinvolto non solo la sociologia, la psicologia ma addirittura le neuroscienze – nessuno pensi a collegare quel fenomeno auto-oggettificazione alla disponibilità di così tante donne a mettere a rischio il proprio benessere psico-fisico motivate certo dal denaro, che indubbiamente è un fattore determinante, ma anche dalla volontà di mettersi al servizio della felicità di qualcun altro.
    Io credo, insomma, che se è vero che il fenomeno affonda le radici nella iniqua distribuzione della ricchezza globale, anche il ruolo di genere da sempre affibbiato alla donna abbia la sua importanza.
    Di parto si può morire, questo è un fatto, e per quanto raramente questo accade. (10 decessi ogni 100.000 parti in Italia, secondo le ultime stime), è una evenienza che, a dispetto dei protocolli di prevenzione, non possiamo non mettere in conto. La scienza ci dice che la procreazione assistita aumenta il rischio di mortalità, anche questo è un fatto incontestabile.
    Quello che a me sciocca e ha sempre scioccato della maternità surrogata è proprio questo: chiedendo ad una donna di partorire al posto mio io le sto anche chiedendo di rischiare la vita per me; decidendo per la maternità surrogata io sto implicitamente affermando che la mia felicità, il mio desiderio di genitorialità, è più importante del rispetto del suo diritto alla vita.
    Che la vita della donna sia meno importante di quella del nascituro lo aveva rilevato proprio Michela Murgia, nel suo Ave Mary, parlando di santa Gianna Beretta Molla: medico, cattolica praticante come il marito, madre di tre bambini, nel ’61, a 39 anni, durante la quarta gravidanza, le fu riscontrato un voluminoso tumore benigno che richiedeva l’asportazione immediata, il che avrebbe comportato l’interruzione della gravidanza. La signora rifiutò: nacque una bellissima bambina e la madre morì. Esaltando con la canonizzazione il martirio che lasciava un padre solo con quattro figli, si mostrava che la nuova via alla santità femminile era la maternità, soprattutto se costava la vita: “tutte le madri cattoliche che si trovassero nella terribile condizione di dover scegliere tra l’aver cura della propria vita o preservare quella in arrivo, se decidessero di sopravvivere non farebbero male, ma se scegliessero di morire farebbero meglio“.
    Ecco, in tutta questa retorica sull’amore e sulla capacità delle madri surrogate di donarsi e di donare, immolandosi al desiderio altrui, io ritrovo tanto di quella retorica cattolica che ci vuole martiri al servizio dell’umanità, un martirio che però, a mio avviso, ci fa dimenticare che anche la donna, in quanto essere umano, è anch’essa titolare del diritto alla vita.

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    1. ruminatiolaica Autore articolo

      In parte credo che siamo arrivate a un punto in cui, anche se non piace ammetterlo, la battaglia per i diritti degli omosessuali e la battaglia per i diritti delle donne entrano in frizione. Riguardo ai dati sulla mortalità in caso di procreazione assistita non conosco le fonti. Però i casi come quello di santa Gianna Beretta Molla (che francamente non conoscevo) mi colpiscono molto. Ammetto che sono scelte e la libertà consiste anche nel fatto di fare scelte incomprensibili ai più. Certo è che l’uso che poi se ne fa condiziona l’immaginario e orienta il sistema valoriale. Io sono molto stupita di una cosa: il grande ritorno al tema della maternità/paternità del cordone ombelicale. In parte sarà sicuramente dovuto al fatto che le coppie omosessuali hanno difficoltà ad adottare, in parte sarà dovuto al fatto che l’adozione richiede tempi lunghi. Ma questi figli a immagine genetica di sé stessi mi lasciano molto perplessa. Capisco il desiderio di gravidanza nelle donne: oggettivamente è una condizione fisica specifica che indubbiamente implica dei cambiamenti e delle sensazioni. Capisco molto meno il desiderio di gravidanza negli uomini. Non è che lo disapprovo, non riesco proprio a spiegarmi perché. Per uomo non cambia nulla se il bambino viene tramite GPA o tramite adozione. A meno che non ci siano ragioni ragioni di continuità genetica. Oppure di impossibilità ad accedere all’adozione. Ecco, questo vorrei capirlo. Mi piacerebbe che qualcuno che ricorre alla GPA me lo spiegasse. È solo una scelta pragmatica o c’è un portato relativo alla continuità genetica?

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      1. il ricciocorno schiattoso

        Gli omosessuali, come le persone single, nel nostro paese non possono adottare: la legge 184/83 (a meno che non sia cambiata di recente) prevede che possano presentare domanda di adozione le coppie sposate da almeno 3 anni o che possano dimostrare, se sposati da meno tempo, di aver convissuto per almeno 3 anni. Questa limitazione è un segno dell’inciviltà di questo paese, su questo non ho alcun dubbio.
        Per ciò che riguarda il discorso della continuità genetica, rimasi molto perplessa alla lettura di una riflessione di Chiara Lalli sull’argomento: http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/12/04/femministe-maternita-surrogata
        Lalli scriveva: Suggerire poi, come riportato nello stesso post, che l’adozione sarebbe un’alternativa è come dire a uno che vuole un gelato: “Ma non vuoi forse mangiare questa pizza con tonno e cipolle?”.
        In che senso un figlio che porta il tuo DNA sarebbe un gelato e un figlio amato, altrettanto desiderato, ma portatore di un diverso patrimonio genetico, sarebbe una pizza con tonno e cipolle? L’amore di un genitore per il figlio sembra paragonato, in questa frase, al desiderio di mangiare qualcosa di sfizioso e figli biologici e figli adottivi a cibi di diverso sapore…
        Ora, il cibo è qualcosa che noi consumiamo e che ci sostenta, mentre un figlio è qualcuno che nutriamo e che supportiamo nel suo percorso di crescita verso l’autonomia. L’analogia usata da Lalli io la trovo parecchio inquietante.

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      2. axiombaduanjin

        a me pare che uno dei presupposti sia della tua dissertazione che di quella proposta da ricciocorno schiattoso sia l’assenza del riconoscimento di qualsiasi consistenza al concetto di ‘figlio naturale’, posizione che a me sembra piuttosto dubbia.
        intendiamoci, non v’è dubbio che padri o madri siano coloro che educano e si prendono cura di un bambino in tutto il suo percorso di crescita, però non credo sia realistico omettere dal dibattito il valore, seppur relativo, che la discendenza del patrimonio genetico riveste nel desiderio di maternità, paternità. in fondo un figlio è l’unica dottrina della salvezza concreta che abbiamo a disposizione e rivedersi in lui anche nei lineamenti, geneticamente, può avere il suo peso.
        insomma, la vostra argomentazione di idee vale in un regime di idee che considera tutto ‘cultura’, ma in realtà c’è in ognuno di noi una percentuale di ‘natura’.
        attenzione, non sto dicendo che questa circostanza sia ormai determinante, ma riconoscendogli un peso possiamo anche arrivare a capire il motivo per cui anche l’omosessuale può preferire la surrogazione all’adozione (e in molti casi la preferisce, visto che vi nei paesi dove possono adottare cmq non è che viene vanificato il ricorso all’utero in affitto).
        quello che mi resta da capire a livello ideologico è perché questa problematica debba riguardare solo la ‘coppia omosessuale’ (o ‘eterosessuale’) e non, per esempio, un single. sembra che nei confini dei parametri validi per essere riconosciuti come possibili ‘genitori’ l’unico vincolo sia rimasto il numero due.
        detto questo concludo specificando un ulteriore fatto: a mio avviso la surrogazione, l’eterologa o quant’altro hanno poco a che vedere con la biologia, ma si configurano come ‘fatti di costume’. pensiamoci un attimo, queste iniziative, con la complicità di persone ‘altruiste’, possono essere realizzate anche nel ‘quotidiano’ (una lesbica può rivolgersi a un amico, una coppia gay a una amica, anche se la seconda ipotesi è più complessa): quello che viene realmente comprato non è ‘l’utero’ o ‘il bambino’, ciò che viene realmente comprato è la garanzia dell’assenza, personale e legale, di uno dei genitori biologici dalla vita del proprio figlio

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      3. ruminatiolaica Autore articolo

        @ Ricciocorno, ho letto anch’io diverse cose della Lalli ma non mi convince. Non mi convince proprio a livello di procedimento logico del discorso. Non mi sembra che porti veri argomenti come del resto la Sgaggio http://www.manifestosardo.org/piantatela-di-pensare-che-le-donne-non-possono-decidere/ Sono tutti ragionamenti apologetici mai propositivi.

        Io sono disponibile a tutti i tipi di confronto, tanto più che non sono pregiudizialmente contraria alla GPA. Avrei voglia di ascoltare argomenti ma niente, si ricade sempre lì: apologetica, polemica, sarcasmo. E francamente sta diventando stancante. Inoltre c’è un problema di linguaggio. Parliamo di libertà e gratuità? Bene, sono d’accordo. Allora non propiniamo la pappetta immangiabile che una donna che prende 40mila dollari, o quello che è, lo fa per gratuità. La gratuità è possibile ma è un’altra cosa. Sarebbe come se il gelataio mi facesse pagare il gelato e io dicessi: oh che bel dono, il gelataio mi ha regalato proprio il gelato che volevo io. Non è una pizza tonno e cipolle ma non è neanche un regalo.

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      4. ruminatiolaica Autore articolo

        @axiombaduanjin non ometto il valore del concetto di “figlio naturale” ma c’è un rischio. Se si parla di maternità uterina o anche di maternità genetica c’è il pericolo che questo ritorno alla predominanza biologica metta in crisi l’idea della legittimità dell’adozione. Del resto nemmeno i due concetti sono facilmente conciliabili. La GPA mette in conflitto proprio l’idea di maternità uterina e quella di maternità genetica. È addirittura un presupposto che la non vi sia continuità genetica tra la gestante e il genitore (madre, padre o entrambi) genetico.

        Invece per arrivare al tuo ragionamento beh, sì, hai ragione. Riconoscendogli un peso forse possiamo arrivare a capire il motivo per cui anche l’omosessuale può preferire la surrogazione all’adozione. Resta il fatto che più leggo più mi faccio convinta che la surrogazione è una fenomeno che coinvolge le coppie eterosessuali e che laddove fosse possibile l’adozione, le coppie omosessuali si sposterebbero anche sull’adozione. Non c’è da sottovalutare l’effetto condizionante del divieto di adozione. Ma nella sostanza hai ragione e in qualche modo rivaluti un elemento trascurato: quello del desiderio di paternità.

        Riguardo all’eterologa, francamente non ho mai avuto dubbi. Nel mio modo di concepire le cose la genetica ha poco peso. Madre è chi porta il bambino o chi lo cresce. Talvolta entrambe le cose. Un ovulo o uno spermatozoo da soli per me sono solo cellule. E del resto è proprio sulla base di questa idea, totalmente laica, che è possibile ammettere l’aborto legale.

        A proposito del fenomeno di costume non saprei. È che GPA possono essere realizzate anche nel quotidiano senza tirare su alcun polverone. Di fatto avvengono a sono avvenute. E sì, hai ragione il nodo è proprio la garanzia dell’assenza. In questo caso la garanzia dell’assenza di quella che si chiama la portatrice, ossia la gestante.

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  3. Pingback: Il Patriarcato è morto, Viva il patriarcato! | SUD DE-GENERE

  4. il ricciocorno schiattoso

    “intendiamoci, non v’è dubbio che padri o madri siano coloro che educano e si prendono cura di un bambino in tutto il suo percorso di crescita, però non credo sia realistico omettere dal dibattito il valore, seppur relativo, che la discendenza del patrimonio genetico riveste nel desiderio di maternità, paternità. in fondo un figlio è l’unica dottrina della salvezza concreta che abbiamo a disposizione e rivedersi in lui anche nei lineamenti, geneticamente, può avere il suo peso. insomma, la vostra argomentazione di idee vale in un regime di idee che considera tutto ‘cultura’, ma in realtà c’è in ognuno di noi una percentuale di ‘natura’.”
    Io non metto in dubbio il valore che il tramandare il patrimonio genetico sia, per qualcuno, una priorità. Ad esempio, tempo fa, leggevo di una particolare formica, i cui hanno riuscirebbero a distruggere il patrimonio genetico della regina per ottenere cloni di se stessi: http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=2770 🙂
    Ma, insomma, parliamo di formiche! L’essere umano ha molto da tramandare, oltre il suo DNA. O no?
    Il rapporto dell’essere umano con la natura è caratterizzato da un atteggiamento tutt’altro che supino: non abbiamo le ali, ma voliamo; non abbiamo le branchie, ma esploriamo gli abissi. E’ dalla notte dei tempi che combattiamo “la natura”, compresa la nostra stessa natura (e qui intendo la biologia), spingendoci oltre i limiti che questa ci impone.
    Pertanto potremmo dire, con un gioco di parole, che è nella natura dell’uomo non lasciarsi limitare dalla natura. Quindi si, in un certo senso è naturale che l’uomo si sforzi di ottenere ciò che la natura non gli ha concesso, come è altrettanto naturale che si interroghi sulle possibili conseguenze del suo continuo inventare nuovi modi di modificare la natura a suo piacimento..
    Il problema etico, qui, non riguarda le nuove forme che assumerà la famiglia, se due uomini o due donne è meglio o peggio di un uomo e una donna: “Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore di tutti. La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanza sono diverse.”, lo diceva Durkheim, nel 1888.
    Il problema etico ruota tutto attorno al modo in cui le diseguaglianze, quelle economiche come la discriminazione di genere, influenzino il fenomeno della surrogacy e quali sono le possibili conseguenze che le diverse forme di surrogacy avranno sulle categorie di persone più vulnerabili in virtù dell’attuale contesto sociale.

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    1. axiombaduanjin

      però un conto è non considerare la ‘natura’ come vincolo dell’agire umano, un conto è ometterla completamente dalla sfera delle realtà. non credo si possa dire che un proprio figlio biologico sia identico a un figlio concepito con il dna di altre persone. certo culturalmente e antropologicamente sarà perfettamente uguale, ma la consapevolezza che non è la ‘replica’ o ‘continuazione di sé’ (non saprei come definire questo concetto) rimarrà giocoforza, senza che questo abbia alcun disvalore o valore sociale, ma inteso come semplice ed inevitabile consapevolezza determinata dall’esistenza del mondo, cioè dalla natura. ometterlo, secondo me, è prospettiva ideologica.
      d’altra parte, riallacciandosi a ilaria, lo dimostra proprio il ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie eterosessuali; non mi sembra molto realistico affermare che tale scelta venga compiuta per le difficoltà nell’adottare, è pieno di orfani il mondo e per adottarne uno non vedo ostacoli maggiori rispetto all’intraprendere una strada che mi sembra abbastanza tortuosa come l’utero in affitto. perché allora? probabilmente per averlo da neonato, o chissà, per avere almeno il patrimonio genetico del 50% della coppia.
      in realtà penso che difficilmente possiamo produrre una posizione oggettiva e condivisa in merito ma rimango convinto di due cose: il presupposto della maternità surrogata, come di ogni altra iniziativa in cui viene coinvolta la vendita del corpo di qualcuno, è l’ingiustizia sociale, la disparità economica che rende qualcuno talmente forte da poter disporre degli altri. in secondo luogo il fine di queste iniziative, ed in questo caso includo anche l’eterologa, non è la procreazione (sempre possibile), ma la garanzia legale dell’assenza di uno dei due genitori biologici e, probabilmente, anche l’impossibilità per il bambino di potervici risalire in futuro.
      è in questa prospettiva che politicamente, cioè nel momento in cui devono essere riconosciute dallo stato e garantite dal ‘pubblico’ inteso come sanità, posso esprimere la mia posizione democratica o combattere la mia battaglia.
      credo insomma che chi parla di biologia, antropologia o famiglia sia un po’ fuori strada o perlomeno getti sul piatto argomenti non determinanti o significativi al fine di assumere una opinione che sia la più equilibrata possibile

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  5. ladymismagius

    L’ha ribloggato su Il Ragnoe ha commentato:

    Ora e sempre, coltivare il dubbio. Quando ci sono di mezzo i corpi, e non solo le scelte, ma anche gli squilibri di potere, schierarsi e semplificare spesso fanno un torto a tutti. Dobbiamo confrontarci con la complessità, e questo significa ammettere le nostre incertezze.

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  6. Paolo

    sono un liberale laicista (forse anche un po’ liberista ma preferisco la socialdemocrazia) che sulla gpa ha più dubbi che certezze ma l’idea di un pagamento non mi scandalizza. Una gravidanza è qualcosa di gravoso e rischioso, chi si dichiara d’accordo a portarla avanti per degli sconosciuti deve avere almeno un rimborso spese. e se crediamo nell’autodeterminazione non possiamo credere che questa sparisca quando si ricevono dei soldi.
    Si dirà: ma qui c’è un bambino di mezzo, un bambino che si è deciso di far nascere. ecco, la vera questione è questa più che i soldi

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  7. Pingback: Di surrogacy, amore e sacrificio | il ricciocorno schiattoso

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