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Le zozzette

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Più certa della morte c’è solo una cosa: l’imbecillità della gente. Io non trovo altra definizione se non di imbecilli per quelli che mettono la nudità – vera o presunta – alla pari di uno stupro. Allora, visto che la situazione è questa, ripartiamo a dire due o tre cosette importanti. Una donna può andare in giro nuda quanto le pare senza che questo dia il diritto a qualcuno di stuprarla. Non c’è relazione di causa-effetto: se uno vede una donna nuda può scegliere se stuprarla oppure no. Al limite, lei, ne pagherà le conseguenze se viene denunciata per atti osceni in luogo pubblico. E nessuno dovrà abusarla. Avete capito bene e lo ripeto: io rivendico il diritto di andarsene in giro mezze nude senza dover essere per forza stuprate. Ovviamente è un ragionamento paradossale, giusto per far capire bene. Tutte noi che siamo passate da molestie più o meno gravi, sappiano che conta meno di zero essere scollacciate o monacali. Ci sarà sempre una scusa per scaricare la responsabilità sulla vittima. Qualcuna è stata molestata in tuta da ginnastica, qualcuna in minigonna. Qualcuna di notte, qualcuna di giorno. Qualcuna da sola, qualcuna in mezzo alla gente. Qualcuna flirtava, qualcuna si faceva i fatti suoi. Qualcuna era ubriaca, qualcuna era sobria.

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Se io fossi un uomo mi offenderei, leggendo i commenti nello screenshot. La costante è che l’uomo è rappresentato come un fallo dotato di gambe e braccia ma privo di volontà e raziocinio. Se si rovesciano al maschile i pregiudizi ginofobici viene fuori cosa pensando questi uomini degli uomini: 1) gli uomini che trovano una ragazza in giro di notte la stuprano, 2) gli uomini che trovano una donna con un vestito audace la stuprano, 3) gli uomini vedono le donne come prostitute pronte per l’uso, 4) gli uomini sono legittimati a stuprare, 5) il deficiente che pensa di fare ironia non manca mai, 6) gli uomini non sono stupratori ma le donne stuprate sono zozzette, 7) gli uomini hanno diritto a stuprare le ragazzine perché tanto a loro piace, 8) gli uomini stuprano le donne per raddrizzarle (è per il loro bene), 9) la colpa è delle femministe. Non starò a perdere ulteriore tempo perché questo screenshot è principalmente un problema di uomini con uomini. Mi aspetto che loro dicano qualcosa.

Ora invece la racconto come l’ho intesa io. Un militare della marina ha stuprato una ragazzina di quindici anni. Avevo poco meno di lei quando ho cominciato a capire che c’era qualcosa di sbagliato nell’educazione che avevo ricevuto. Rappresentante degli studenti, in missione nella grande città, ho incrociato un molestatore nella metro. Non posso dire che non capissi. Ero perfettamente lucida. Sapevo cosa stava succedendo, in teoria. Ma pensavo che non fosse possibile. Temevo la reazione della gente così non ho provocato scandali. Non ho dato schiaffi, non ho gridato, non ho emesso un fiato. Niente: non mi sono nemmeno girata per guardarlo in faccia. Era impossibile che succedesse e mi vergognavo perché stava succedendo. Mi sono liberata di lui solo quando sono scesa, alla fermata sbagliata, senza sapere dov’ero finita. Lui non è sceso: non ha fatto in tempo. Ed è finita lì, non faccio ipotesi alternative.

Quando il ritmo cardiaco è tornato più o meno normale, ho pensato che la colpa fosse mia perché non avevo reagito. Uno che non conosci ti si avvicina e ti appoggia alla schiena il suo pene eretto. Lì per lì pensi che sia un caso: gli scossoni della metro te lo hanno spinto addosso. Anche se sai cosa è quello che senti non hai il coraggio di dargli un nome perciò ti dici che ti sei sbagliata: sarà il portafogli. Poi però lui insiste e tu ti congeli. Il cervello viaggia alla massima velocità, vagliando infinite opzioni, ma alla fine non sa quale scegliere. Ti scansi ma lui ti ritrova. E mentre il cervello viaggia la bocca rimane muta. Passano secondi preziosi, forse minuti: non lo sai perché il tempo ha cominciato a scorrere diversamente. E lui vede che non reagisci. Magari pensa che ti piaccia. Allora osa di più: non gli basta appoggiarsi, comincia a strusciarsi in modo sempre più sicuro. Tu alla fine scappi. Con un guizzo improvviso riesci a sottrarti e la folla si richiude su di lui. Si richiude anche la porta della metro. E finalmente riesci a girarti.

A quel punto succede una cosa imprevedibile. Succede che invece di sentirti sollevata cominci, incredibilmente, a darti la colpa di tutto. Non ti passa nemmeno per la testa di essere una vittima. Non riesci a pensare che lui è l’abusatore e tu l’abusata. Molte donne non si considerano neppure abusate sebbene lo siano, dice un’amica. Io ci ho messo molto tempo per capire di aver subito un abuso. E il processo di separazione dalle colpe di chi mi aveva molestato ha richiesto ancora più tempo. A volte ci vogliono decenni. Allora pensateci quando educate i figli. Pensateci anche quando parlate dell’educazione sessuale nella scuola. Pensateci bene e pesate ogni singolo pensiero.

Qualcuno non capisce la mia paura di ribellarmi. Non me ne offendo: forse è l’occasione per chiarire qualcosa. Sono le dinamiche della sopraffazione. Qualsiasi abuso non è solo sesso: è dominio, controllo, è esercizio di potere. La mia risposta dunque è semplice. Se ti dicono che la sessualità è una cosa da tenere segreta e vagamente vergognosa, fai di tutto per tenerla nascosta, a maggior ragione se sei poco più di una bambina. Mi suggerisce l’amica: in quel tipo di corpo, cresciuto in fretta, non ero stata educata a gestire i cambiamenti. È vero.

Ti educano facendoti credere che la sessualità implichi una colpa. O almeno così è successo a me, per tanti motivi che non sto a snocciolare. Ti educano a credere che del sesso non si debba parlare. Allora tu, ragazzina, cosa fai? Semplicemente non ne parli. E se sei abituata a negarlo, continui a negarlo. 

Il problema nasce quando la realtà e l’idealità entrano in collisione. La cosa non deve succedere ma ti sta proprio succedendo. Non puoi parlarne liberamente ma qualcuno te lo sta appoggiando. È questa la follia. L’espressione è brutale ma la brutalità – pensateci – non viene dal mio linguaggio bensì dalla realtà. Se non sei pronto a parlarne serenamente e a pensarci serenamente poi non sei in grado di gestirlo né – eventualmente – di difenderti. Non sei in grado di reagire.

Io non avevo la pistola puntata e non ero neppure da sola. Non ero alle prese con una persona più forte che cercava di sopraffarmi. Semplicemente ho trovato un maiale adulto che si è approfittato della situazione. E quando ha capito che non reagivo si è approfittato ancora di più. Se prima si appoggiava, dopo si strusciava e avrebbe continuato così. A me sarebbe bastato poco per interrompere tutto. Ma quel poco ero incapace di farlo. Se ti tagliano via le mani dopo non puoi più usarle: così è anche per la consapevolezza e la volontà. È questo che succede. Ed è così che vedo la questione dell’educazione sessuale nelle scuole.

Anche oggi, anno di grazia 2015 ma non ancora futuro, va ribadito che chi denuncia è coraggioso. Tanto più una ragazzina 15enne. Come molti, credevo che il futuro avrebbe portato miglioramento. Ma che miglioramento é se la crescita del ruolo femminile continua a coesistere con i cascami di una società vincolata a un passato misogino e ginofobico? Ogni volta ritorna, ogni volta è la stessa storia: è l’abbigliamento della vittima, il suo comportamento, l’ubriachezza, la libertà sessuale, le sue abitudini. Mi fa notare un’altra amica: si incolpano i genitori, specialmente la madre, per non aver sorvegliato. Poi le compagne di lei per non aver reagito. Non si mettono mai in discussione gli amici di lui per non essere intervenuti, per non aver denunciato. Al contrario, si tende a comprendere chi protegge o non denuncia i figli, i fratelli, i mariti, i vicini. Perché la ragazza era fuori? Perché aveva bevuto? Perché era vestita in quel modo? La violenza, l’umiliazione, lo schifo, il danno diventano secondari. Dimenticando così l’unica certezza: che un abuso non è mai scusabile. 

Credo che sia coraggioso chi denuncia. Ma credo che sia coraggioso – e onesto – anche chi riesce a parlare della sessualità in modo sereno. Onesto nel senso di pulito. Trovo sporca solo la volontà di negare l’esistenza delle sessualità perché è dalla negazione che nascono le storture, le fobie, la colpevolizzazione, il giudizio. Ora mi ritengo una persona serena senza particolari tabù. E mi piace esserlo. Nessuno mi ha aiutata, non so perché sono diventata così. Fortuna, letture, amici, ambienti… L’unica cosa che so è che sto molto meglio di prima. Ho imparato ad accettare la componente sessuale della mia personalità. Sto bene, finalmente. 

Se potessi, mi piacerebbe ritrovare il maiale della metro per dargli il manrovescio che si meritava con gli interessi maturati negli anni. Ma non metto sotto accusa solo lui: metto sotto accusa il modello educativo che mi ha resa incapace di reagire. Fate come volete, ma ricordatevi delle storie come la mia quando discutete dell’educazione sessuale nelle scuole. A parlare della sessualità ai ragazzi non so cosa succede. Ma a non parlarne, a trattarla come una faccenda impudica, sono certa che rendete i ragazzi e le ragazze vulnerabili. Esattamente come è accaduto a me.

Ilaria Sabbatini

Ps.

Al solito, grazie ai miei contatti Facebook che mi hanno aiutato in questa riflessione.