La pazienza serena e forte degli Englaro

eluana_fucecchiAscoltare Beppino Englaro con la sua pacatezza e la sua limpidezza fa sembrare ancora più barbaro il modo diffamatorio con cui è stato trattato. A prescindere da cosa si pensa sul fine vita. Due cose importanti sono emerse dal suo discorso di ieri*:

1) Quello di Eluana Englaro non è stato un caso di eutanasia

2) Esiste già ora un modulo per la dichiarazione di volontà anticipata per i trattamenti sanitari

L’associazione Per Eluana e l’associazione Luca Coscioni** forniscono tutte le informazioni

http://www.pereluana.it/documenti/

http://www.associazionelucacoscioni.it/campagna/testamento-biologico

La cosa che mi ha profondamente sorpreso, stando a quanto mi riportavano le persone intervenute, è la quantità di gente che ancora pensa a Englaro come “quello che ha ammazzato la figlia”. Il fatto è che nessuno di questi moralizzatori si è presentato all’incontro nè ha fatto lo sforzo di capire veramente cosa è stata la vicenda di Eluana o quello che ha passato la famiglia Englaro al di fuori della propaganda politico-mediatica. Tutt’ora permane un’ignoranza profonda sia sul versante informativo sia sul versante etico. Perché sì, Beppino Englaro ha parlato costantemente e positivamente della consulta di bioetica, anche se il pubblico del tubo catodico e dello schermo ultrapiatto deve considerare questo istituto più o meno alla stregua della ormai famosa supercazzola prematurata.

Beppino Englaro ha insisto giustamente sul fatto che la medicina ha creato una situazione di non ritorno che non è stata più in grado di risolvere. Ha spiegato che è stata negata alla famiglia la possibilità di decidere della rianimazione di Eluana in conformità alla di lei volontà. L’esatta espressione che ha usato è stata: “lasciate che la morte accada“. Io trovo la sua formula carica di una profonda spiritualità. Più profonda, più spirituale e più innamorata di qualsiasi proclama targato prolife. La sua espressione ha senso soprattutto se contestualizzata nell’ambito di una famiglia come la loro che ha sviluppato negli anni un atteggiamento sereno verso la morte. “Nella mia famiglia – ha detto più volte Beppino Englaro – non abbiamo il tabù della morte” e a questo punto non si può non pensare che la forza e la serenità di quest’uomo dipendano anche da ciò.

Qui però non è nemmeno un problema di quale scelta fare bensì una pura e semplice questione di libertà di coscienza, così come dovrebbe essere garantito dalla costituzione. Poiché lo stato italiano è uno stato laico, le posizioni confessionali dovrebbero avere un peso relativo nella legislazione e si dovrebbe ammettere il principio per cui le convinzioni religiose non condizionano le scelte dei laici e viceversa. Ossia chi elabora le proprie scelte nell’ambito di un sistema etico religioso dovrebbe essere libero di esprimere le proprie scelte né più né meno di chi elabora le proprie scelte nell’ambito di un sistema etico laico, e viceversa. Il che implica che nessuno dei due sistemi dovrebbe poter imporre all’altro le proprie convinzioni. Ma mentre il sistema di pensiero laico non ha la pretesa di condizionare il sistema religioso talvolta accade che il sistema di pensiero religioso pretenda di condizionare le scelte del sistema laico. E forse sarebbe bene precisare che spesso si tratta di un pensiero non propriamente religioso bensì di una deriva politico-autoritaria capace raggiunge livelli di intolleranza che spesso la chiesa cattolica né raggiunge né condivide. I prolife, i cosiddetti atei devoti, sono un’invenzione propagandistica per cavalcare l’onda mediatica e strumentalizzare a proprio tornaconto la parte cattolica dell’opinione pubblica coinvolta da questa vicenda.

Il principio di laicità, però, è sancito senza margine di dubbio dalla sentenza n. 203 del 1989 della Corte Costituzionale. L’ordinamento italiano, infatti, attribuisce valore e tutela alla religiosità umana come comportamento apprezzato nella sua generalità, senza però preferire alcuna fede religiosa. L’articolo 2 della sentenza afferma il “principio personalista”, l’articolo 3 afferma il “principio di uguaglianza”. L’articolo 19, enunciando il diritto di tutti a professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, specifica il riconoscimento della libertà religiosa come diritto inviolabile dell’uomo. In merito al principio di laicità l’articolo 4 della sentenza n. 203 del 1989 della Corte Costituzionale recita:

I valori richiamati concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 della Costituzione), a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato, che é uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica.
Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale. Il Protocollo addizionale alla legge n. 121 del 1985 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede esordisce, in riferimento all’art. 1, prescrivendo che <Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano>, con chiara allusione all’art. 1 del Trattato del 1929 che stabiliva: <L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1o dello Statuto del regno del 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana é la sola religione dello Stato>.
La scelta confessionale dello Statuto Albertino, ribadita nel Trattato lateranense del 1929, viene cosi anche formalmente abbandonata nel Protocollo addizionale all’Accordo del 1985, riaffermandosi anche in un rapporto bilaterale la qualità di Stato laico della Repubblica italiana. (fonte http://www.giurcost.org/decisioni/1989/0203s-89.html)

Questo significa che la laicità dello stato è un dato di fatto non un’opinione su cui qualcuno possa dissentire. In Italia non esiste religione di stato. Viceversa lo Stato si pone a garanzia della libertà di culto in regime di pluralismo confessionale e culturale.

Un pensiero che mi ha sempre colpito in questi anni è l’incoerenza dei movimenti prolife che sembrano sempre più accecati dalle loro stesse convinzioni. Infatti il catechismo della chiesa cattolica (parte terza, sezione seconda, disposizione 2278) afferma:

“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”. (fonte: http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a5_it.htm)

Il fatto è che Beppino Englaro, nonostante abbia subito ogni forma di aggressione e diffamazione, non ha detto neanche una parola che fosse di rabbia o di odio nei confronti di chi lo ha letteralmente perseguitato in questi anni. Non-una-parola.

Si ricordi il vergognoso comportamento dei parlamentari all’epoca della morte della ragazza; si ricordi lo sciacallaggio degli atei devoti sostenuti da una parte della stampa italiana; si ricordi l’inqualificabile affermazione di Silvio Berlusconi. Si ricordi Fabrizio Cicchitto che parlò di “cultura di morte”; Maurizio Gasparri che accusò il Presidente Napolitano: “Peseranno le firme messe e non messe”; Gaetano Quagliariello che si mise a urlare che Eluana era stata “ammazzata”; Borghezio che parlò di “omicidio di stato”, Brunetta che insinuò che Beppino Englaro sfruttava la vicenda per vendere più libri (i soldi dei proventi vanno a due associazioni di sensibilizzazione); Padre Livio di radio Maria che confrontò Eluana al Cristo che sulla croce chiedeva da bere; Renato Beruschi che confrontò Beppino Englaro al conte Ugolino che mangiava i suoi figli. Mario Giordano che affermò: “E’ morta e suo padre era lontano. E’ morta di fame e di sete, con il respiro ridotto ad un rantolo e il corpo disidratato che cercava acqua dentro agli organi vitali. E’ morta in fretta, troppo in fretta per non generare sospetti… Eluana è stata uccisa, Eluana era viva e adesso non c’è più”. Il cardinal Caffarra che parlò di “uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente”. Berlusconi che parlò di “due culture che si confrontano: da un lato la cultura della libertà e della vita e dall’altro quella dello statalismo e, in questo caso, della morte; noi siamo per la vita e per la libertà”. Enzo Jannacci che dichiarò che “vale sempre la pena di aspettare: quando e se sarà il momento, le cellule del paziente moriranno da sole… interrompere una vita è allucinante e bestiale”. Adriano Celentano, che scrisse in una lettera ai giornali: “A volte i miracoli succedono proprio quando meno te l’aspetti. Forse Eluana ha bisogno della conversione di suo padre per far sì che la sua dipartita da questo mondo avvenga in modo spontaneo e senza alcuna interruzione”.

Tutto questo, oggi, mi provoca vergogna per loro. E mi fa sentire serena per non essermi lasciata tirare dentro il fangaio. Sono orgogliosa di me stessa per aver saputo mantenere un’osservazione vigile e un silenzio attivo durante il quale ho ruminato (come dice il titolo del mio blog) e ho lasciato che gli eventi accadessero, esprimendo la mia opinione, se ce n’era bisogno, ma senza lasciarmi trascinare nella parte più bassa di questa bagarre pornografica. Vedendo e ascoltando Beppino Englaro tutta l’aggressività, l’amarezza, la violenza che si accumulano leggendo i memento riportati nei paragrafi precedenti, cadono. Semplicemente cadono, non trovo un altro termine adatto. Cadono come un guscio vuoto, come un cascame superfluo, come una crosta secca.

Di fronte all’affetto che quest’uomo continua a esprimere nei confronti della figlia, di fronte alla sua volontà di ferro, nutrita di rispetto, non si hanno più dubbi. Beppino Englaro a volte provoca perfino fastidio per come parla di Eluana: sembra uno di quei padri per cui la figlia è perfetta e non c’è nessuno bravo, intelligente e forte come lei. Ne parla al passato ma il suo è un presente di ricordi vivi e nitidi. Parlare con Peppino Englaro, che non ha il tabù della morte, è stata un’inaspettata e sorprendente esperienza di vita. Perché, a dirla tutta, ero quasi decisa a disertare, dato che mi aspettavo una manifestazione mesta e deprimente. Così non è stato: è stata un’eperienza di forza, dignità e affetto. Quest’uomo per bene ha amato e continua ad amare la figlia. A prescindere da come la si pensi gli si deve del rispetto. Gli si dovrebbero soprattutto delle scuse ma arriverà anche quel momento. La pazienza serena e forte degli Englaro otterà anche questo.

Ilaria Sabbatini

 

Il video che segue è dedicato a mia madre, morta di cancro nel settembre 2011 in stato di sedazione profonda, senza terapia farmacologica, senza alimentazione e senza idratazione forzata. Oggi, 14 dicembre 2017, giorno dell’approvazione della legge sul testamento biologico, per la prima volta posso dirlo apertamente senza chiedermi se rischio conseguenze legali.

My name is breath. A mia madre.

 

* L’incontro è stato organizzato dall’associazione “Il mammalucco” di Bagni di Lucca e dalla libreria Ubik di Lucca
** Ringrazio dell’informazione la documentarista Livia Giunti che si sta occupando della vicenda Welby

Un pensiero su “La pazienza serena e forte degli Englaro

  1. ruminatiolaica Autore articolo

    Il Consiglio di Stato: Eluana Englaro aveva il diritto di morire in Lombardia
    http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/09/04/news/eluana-englaro-aveva-il-diritto-di-morire-in-lombardia-1.178651?ref=fbpe

    Dichiarata illegittima la decisione dell’ex governatore Roberto Formigoni che di fatto bloccò la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico. L’avvocato Angiolini: “Il diritto alla cura comprende il diritto ad interromperla”. Il padre: “Ormai c’è un prima e un dopo Eluana”
    DI TOMMASO CERNO

    Il Consiglio di Stato: Eluana Englaro aveva il diritto di morire in Lombardia
    Eluana aveva il diritto di morire in Lombardia. E la Regione guidata all’epoca da Roberto Formigoni aveva l’obbligo di garantire la sospensione delle terapie alla donna rimasta in stato vegetativo per quasi 18 anni. Il Consiglio di Stato ha messo la parola fine, ieri pomeriggio, alla vicenda di Eluana Englaro, costretta a essere trasportata in Friuli nel febbraio 2009, alla clinica La Quiete di Udine, per vedere attuata la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico e del sondino nasograstrico, e che la Lombardia si rifiutò di attuare.

    Un ultimo viaggio in ambulanza, inseguita da telecamere e cronisti, dall’istituto Luigi Talamoni di Lecco fino alla sua terra d’origine, che trasformò la vicenda di Eluana Englaro in un caso internazionale, e che fu reso necessario da una decreto imposto da Roberto Formigoni, allora governatore della Regione Lombardia, che vietò la sospensione delle terapie che tenevano in vita Eluana su tutto il territorio lombardo. Terapie che dopo un iter giudiziario durato oltre 13 anni la Cassazione aveva autorizzata a sospendere.

    Una decisione, quella della Lombardia, che è stata dichiarata illegittima ieri dal Consiglio di Stato e che apre, inevitabilmente, anche il capitolo del risarcimento danni alla famiglia di Eluana. «È una sentenza molto importante sul piano del diritto», spiega l’avvocato Vittorio Angiolini, il costituzionalista che ha seguito la famiglia Englaro nella lunga battaglia giudiziaria per vedersi riconosciuto il no alle terapie che tenevano in vita Eluana contro la sua volontà. «I magistrati stabiliscono che la Regione era tenuta a fornire le cure alla paziente Englaro e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla. Questo significa che Eluana avrebbe dovuto trovare questo tipo di assistenza, che poi trovò a Udine, anche in Lombardia, come anche il Tar aveva stabilito».

    https://docs.google.com/viewer?url=http%3A%2F%2Fspeciali.espresso.repubblica.it%2Fpdf%2FEnglaro-CdS_sentenza.pdf&docid=ea3b71ddcb93c161712fb475ac808d7c&a=bi&pagenumber=1&w=424

    «La vicenda di Eluana porta avanti delle libertà fondamentali del cittadino di fronte alle istituzioni. E questa sentenza chiarisce ulteriormente il senso della decisione della Cassazione, che viene chiarita dentro l’organizzazione sanitaria», dice papà Beppino Englaro. «A dimostrazione del potere che ha il cittadino di portare avanti le proprie libertà fondamentali, allineate alla Costituzione, sostenuto da una magistratura che dimostra di non essere serva di alcun potere. Questa sentenza dimostra ancora una volta che c’è un prima e un dopo Eluana, e che sono i cittadini qualunque, come siamo tutti noi, ad avere la possibilità di cambiare veramente le cose dal basso, nel concreto».

    Ben diverso fu il comportamento di Formigoni e dell’allora direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina (rinviato a giudizio a Milano insieme a Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, nell’ambito di un’inchiesta sul progetto Telemedicina), che con una deliberazione regionale decretarono il divieto sul territorio lombardo alla sospensione delle terapie come autorizzata dalla Cassazione. «Da questo divieto, dichiarato illegittimo ieri, è nata tutta la problematica questione del trasferimento di Eluana in un’altra struttura», aggiunge Angiolini.

    Un trasferimento che espose la famiglia Englaro a mesi di polemiche, di bufera mediatica, di tentativi e rinunce. Fino all’arrivo, nel febbraio 2009, alla clinica La Quiete di Udine, dove le terapie furono sospese seguendo il protocollo medico autorizzato dalla Cassazione e dove Eluana morì il 9 febbraio, poco dopo le 19.30, mentre in Senato era in corso il tentativo di ripetere, a livello nazionale, il blitz con cui proprio Formigoni aveva vietato alla donna di esercitare il proprio diritto a non essere curata contro la propria volontà.

    Si apre ora il capitolo del risarcimento danni. La famiglia Englaro, infatti, aveva atteso questa sentenza prima di agire, «in quanto all’epoca c’era una priorità più importante, che era Eluana», spiega Angiolini. In secondo luogo, «tutto si svolse molto velocemente e non ci fu il tempo per quantificare il danno arrecato da questo provvedimento. Ora che la sentenza chiarisce le responsabilità, valuteremo il da farsi». Con l’ipotesi di tirare in ballo non solo l’ente regionale, ma Roberto Formigoni e Carlo Lucchina, artefici materiali del divieto che costrinse Englaro a un’odissea fra ospedali e cliniche. Una vicenda che scosse il Paese e coinvolse le massime cariche dello Stato, dall’allora ministro della salute Maurizio Sacconi, che firmò un atto di indirizzo con l’intento di fermare il trasferimento di Eluana Englaro a Udine, fino all’ex premier Berlusconi che si schierò per il no alla sospensione delle terapie e che varò un decreto del governo, il 6 febbraio 2009, per bloccare Eluana. Decreto che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiutò di firmare.

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