Bikini per burkini

Con l’estate che sta finendo anche la discussione sul burkini sembra agli sgoccioli. Scrivo due cose giusto per non perdere l’onda: tra un po’ sarà autunno e nessuno si occuperà più dell’argomento. Quando gli ombrelloni si chiuderanno e i costumi verranno messi via in attesa della prossima prova, passeremo a parlare d’altro. In effetti accade anche altro sotto il cielo delle questioni di genere. Accade, ad esempio, che l’attivista LGBT turca Hande Kader è stata ritrovata stuprata e bruciata, accade che a Rio per la prima volta un’atleta Iraniana vince una medaglia, accade che c’è uno scontro in atto sulla taglia delle donne in Occidente, accade che continuano i femminicidi, accade che vengono sottratte risorse alle case protette, accade che i consultori stanno sparendo, accade che delle presentatrici egiziane sono state sospese perché troppo grasse e accadono moltissime altre cose. Ma pare che su questo “altro” non ci saranno grandi dibattiti.

Se pensate che il mio sia il solito benaltrismo vi sbagliate perché il problema è esattamente questo. Per portare avanti una discussione ideologizzata si stanno mettendo da parte delle cose importanti che riguardano i diritti delle donne, qui e ora; immigrate e non. Se ciò non bastasse a me pare che la discussione sia del tutto decentrata rispetto al problema che vorrebbe affrontare che è quello dell’autodeterminazione femminile in una condizione di passaggio. È giusto e doveroso parlare di dress code in rapporto all’autodeterminazione femminile ma abbiamo scelto il modo più inutile e pretestuoso per farlo, mettendo sotto accusa le donne invece di porci al loro fianco.

Le discussioni di questi giorni mi hanno fatto venire in mente un episodio di qualche anno fa. Al mare in Corsica, capitò che andassi a nuotare completamente da sola. Non c’era nessuno dei miei amici e la  spiaggia era quasi deserta. Mentre nuotavo in santa pace mi sentii strattonare e andai sotto. Bevvi un po’ prima di capire che c’era un labrador da salvataggio vicino a me. Quando potei toccare il fondo con i piedi presi il cane e lo portai a riva. Lo consegnai al padrone che lo rimise al guinzaglio e si scusò. Il succo della storia è che non avevo bisogno di essere salvata, non ero in difficoltà e quando lo feci presente nessuno insisté per salvarmi.

Oggi mi hanno chiesto se mi piace il burkini: la risposta è NO. Mi chiedessero se condivido il divieto la risposta sarebbe sempre NO. Pochi arrivano al secondo passaggio, eppure il fatto che una cosa non mi piaccia non implica la necessità di vietarla. Guardandomi intorno mi sembra che nessuno metta in dubbio che il burkini sia un abbigliamento che pone dei problemi. Però trovo ridicolo quando mi sento domandare se sono favorevole o contraria. Cos’è, un referendum o un quiz a premi? Sì ho appena risposto ma l’ho fatto perché non voglio che vengano strumentalizzate le cose che scrivo. Il fatto che mi piaccia o meno non è il nocciolo del problema e mi sento sotto ricatto nel dover chiarire l’ovvio.

Perché dovrei essere pro o contro un abbigliamento che non uso? Non l’ho nemmeno mai visto se non in fotografia. Perché dovrebbe essere consequenziale che le cose a me sgradite vadano vietate? Capisco che un abbigliamento insolito possa disturbare. Ma credo che il punto chiave sia stabilire fino a dove può spingersi il nostro diritto di interpretare il grado di libertà di una persona. Detto in altre parole, dovremmo porci il problema se una persona ha davvero bisogno di essere salvata e se vuole esserlo.

Se vogliamo analizzare la questione del burkini, la discussione si articola in due parti. Una parte riguarda la percezione esterna: il modo in cui noi recepiamo, proiettiamo e rappresentiamo la libertà delle altre donne. La seconda parte riguarda la percezione interna: il modo in cui le donne che indossano il burkini percepiscono il rapporto con il proprio corpo e con il genere maschile. Al di là delle affermazioni apodittiche, l’unica cosa sensata da fare sarebbe stabilire una qualche comunicazione con le donne interessate. O, per meglio dire, cercare un confronto tra la percezione esterna e la percezione interna del problema.

Di solito a questo punto c’è sempre qualcuno pronto a dire che quelle donne hanno introiettato una mentalità patriarcale, che non sono in grado di decidere per sé stesse, che non sanno quale sia la vera libertà perché sono cresciute dentro società castranti e maschiliste. Personalmente credo sempre nella possibilità della crepa e nella sua capacità di rompere le superfici più dure. Ma soprattutto non posso evitare di pensare che quello è lo stesso identico argomento di chi vuole imporre alle donne un abbigliamento coprente e modesto. Tu non sei padrona del tuo corpo allora decido io per te. Tu non sei padrona del tuo corpo quindi decido che ti devi coprire. Tu non sei padrona del tuo copro quindi decido che ti devi scoprire.

Il punto debole di questo atteggiamento è che le donne non sono MAI considerate quale soggetto delle proprie scelte, giuste o sbagliate che siano. Da questa discussione è totalmente scomparsa la sua parte più importante: cosa pensano le donne che indossano effettivamente il burkini. Perché il punto non è che a me il burkini piaccia o non piaccia ma quanto diritto ho di interferire nelle scelte di persone di cui non conosco la cultura e di cui ignoro totalmente le valutazioni. Qualcuno pensa seriamente che le donne liberate a forza dal burkini si butteranno seduta stante sul bikini? Non vi sembra di avvertire la presenza ingombrante di un certo Pigmalione? Le donne non si liberano comandando loro cosa devono fare. Dire “copriti per legge” oppure “scopriti per legge” non fa nessuna differenza per colei che deve accettare su di sé la decisione altrui: tanto nessuno le chiede mai come vuole vestirsi.

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L’altra sera guardando le olimpiadi e gli atleti occidentali che si esibivano in tuta lunga al galà della ginnastica (ritmica, atlete bielorusse, minutaggio 1:02:31) ho messo insieme alcuni pensieri e parecchie domande. Il benessere nei propri panni ognuno lo decide per sé. Nessuna/o vuole essere salvata/o per forza, mai. I processi di emancipazione sono sempre e solo volontari. Con le donne ci si può parlare per sapere cosa pensano invece di decidere al posto loro. Salvare le donne per forza cosa è se non patriarcato? Voler educare le/gli altre/i per forza non è una forma di colonialismo culturale? Il divieto del burkini provocherà il passaggio forzato al bikini o limiterà ancor di più la libertà delle donne? È legittimo pretendere che una persona passi dal burkini al bikini? Che differenza c’è tra un maschio-padrone che mi impone di vestirmi e un qualsiasi altro padrone/a che mi impone di spogliarmi? Perché un maschio che mi impone di vestirmi è oppressivo e chi mi impone di spogliarmi è liberatorio? Perché è così difficile accettare che nessuno ha il diritto di impormi il modo in cui devo essere libera?

Guardando la discussione da un punto di vista esterno, non dobbiamo chiederci se il burkini è giusto o no per le altre donne. Dobbiamo chiederci semplicemente se il burkini è giusto per noi. Io non credo che lo indosserò ma quanto al vederlo indossare a me interessa solo se pone problemi di riconoscibilità del volto e se limita la mia libertà. La risposta è no, non pone problemi di riconoscibilità e non limita la mia libertà. Qualcuno obietterà che le donne che indossano il burkini hanno introiettato la loro stessa oppressione, come dicevo sopra. Ma così facendo le si priva una volta di più della capacità di avere voce in capitolo, di decidere qualcosa su sé stesse. Anche perché noi non sappiamo esattamente quale sia la reale condizione rispetto al burkini. Possiamo solo fare delle ipotesi. O imparare a comunicare.

I. S.

 
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Esercizio di stile con le ipotesi

Ipotesi n. 1) Il burkini è uno strumento di sottomissione maschilista. Soluzione: Vietarlo, punto e basta. Implicazioni: Dato il maschilismo imperante le donne non potranno più andare al mare e non faranno più sport.

Ipotesi n. 2) Qualche donna sceglie il burkini perché ne è convinta e probabilmente gli da un significato  che a noi sfugge. Soluzione: Le diciamo che secondo noi lei è schiava e che la liberiamo perché sappiamo cosa è meglio per lei. Implicazioni: Oltre che ai maschi burkinizzatori, quella deve sottomettersi pure a noi. A torto o a ragione lei la percepirà come un’imposizione. Avvertenza: guardate che la logica del liberatore e del selvaggio non funziona.

Ipotesi n. 3) Il burkini è oggettivamente limitante. Soluzione: Lasciamo che ciascuna decida se portarlo o no.  Implicazioni: Gli inevitabili scambi culturali entreranno in azione, quelle donne saranno a contatto con un modello diverso. Tra qualche tempo porteranno ancora l’indumento. Oppure lo abbandoneranno.

Ipotesi n. 4) Le donne non potevano fare calcio, sport, nuoto, spiaggia etc. Soluzione: Il burkini ha permesso di fare calcio, sport, nuoto, spiaggia etc. Implicazioni: se le donne vivono in una società dove si aboliscono le cause dell’oppressione (cioè non gli si impone di portare l’indumento e neanche di toglierlo) allora saranno libere di scegliere.

Ipotesi n. 5) Per alcune donne la copertura è una scelta consapevole. Soluzione: si può comunicare con le donne che la praticano. Implicazioni: si accetta la loro scelta e si va avanti.

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Rassegna Stampa

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The BURQINI ™ _ BURKINI ™ Brand Story

Modest swimwear for ladies & girls _ Aqua Modesta

Burkini fuori legge in Francia_ antiterrorismo

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Serracchiani contro Valls_ Il burkini non va vietato

Il burkini e il principio di laicità

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Sgrena Il burkini_ Puro esibizionismo

Le musulmane alla sfida dei diritti – La Stampa

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Del velo del corpo e della libertà Ilda Curti

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Intorno al Burkini _ bei zauberei

Burchini, ipocriti e babbei

Il burkini è una trappola vietarlo è sbagliato- H.-B. Levy

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